Il titolo non è una provocazione, ma il frutto di una riflessione.
Mentre scrivo questo articolo, fiamme scatenate da uomini senz’anima
divampano sul Vesuvio, distruggendo la vegetazione, uccidendo gli animali. La
nostra nazione è messa in ginocchio da persone senza dignità che si
arricchiscono con politiche criminali, mentre continuano le fughe massicce di
stranieri dai loro paesi d’origine, i quali arrivano sulle nostre coste per
diventare il nuovo business delle mafie. Nel frattempo, la più grave crisi dell’Europa
e dell’Occidente sembra riguardare proprio i valori e gli ideali, più che l’economia,
se pensiamo che la gente nel dopoguerra viveva con poco, eppure aveva nel cuore
canzoni che noi oggi abbiamo dimenticato.
Viene istintivo chiedersi cosa sia accaduto. Guardo l’uomo moderno
metropolitano, che vive in coda su un’automobile o all’ufficio postale, lavora
ore ed ore in luoghi grigi, prigioni per l’anima, e attende con ansia il
weekend o ferie estive solo per potersi accatastare insieme a tutti gli altri
in autostrada o in aeroporto, per poi raggiungere mete turistiche che di anno
in anno vengono letteralmente saccheggiate dalle masse. E’ l’uomo alienato
della società del consumo, che si affanna per raggiungere una finta dimensione
edonistica nella quale non regna realmente il principio dionisiaco del piacere,
ma una continua tensione interiore che impone di fare quello che tutti gli
altri fanno, di godere come tutti gli altri godono, di essere, insomma, un
numero tra tanti non solo quando si va al lavoro o in ospedale, ma anche quando
si viaggia, quando si mangia, quando si fa l’amore.
Guardo quest’uomo e mi chiedo che ne è stato degli artigiani, dei
calzolai, delle botteghe degli artisti e dei fabbri, delle ricamatrici e delle
tessitrici, dei poeti che sempre, in ogni epoca, hanno trasformato lo spirito
in verbo. Mi chiedo come mai oggi una cieca avidità spinga le persone a distruggere tutto quello che di buono c’è,
come sia possibile che la macchina del capitale abbia sottomesso qualunque
spinta alla libertà individuale, sostituendola con un individualismo spietato
che si riassume nel tentativo spasmodico di possedere più degli altri, a
qualunque costo.
Penso alla musica di Wagner, ai dipinti di Botticelli, alla Divina
Commedia, ai templi dell’antica Grecia, e mi chiedo come mai tutta questa
ricchezza non sia riuscita a salvarci dall’abbruttimento. Buona parte delle
persone, infatti, sembrano cieche e sorde di fronte al bello, nemmeno in grado
di riconoscerlo. Storditi come cani dagli ultrasuoni si trascinano dal chiasso
delle strade al rumore assordante degli attrezzi da giardino, dalla
televisione-spazzatura al cibo sintetico di McDonald. Sento i critici dire che
in Europa, ed in particolare in Italia, abbiamo questo grande patrimonio
artistico, che dovrebbe essere il nostro “oro nero”. Purtroppo, il crimine
risiede proprio in quest’ultima considerazione. Pensare all’arte ed alla
cultura come a qualcosa da immettere semplicemente nel grande mercato e da
sfruttare, è già di per sé una dissacrazione delle medesime. L’opera dunque non
ha più valore di per sé, ma in base al profitto che se ne può ricavare: il
tempio si è trasformato in un bordello. Come Sodoma e Gomorra, è destinato alla
tragica caduta.
Penso all’arte come ad un tempio perché le arti, tutte, sono lo
scrigno che custodisce l’anima di un popolo e di un’epoca, i tesori in cui
quest’anima meglio si è espressa e manifestata nei secoli dei secoli. Le opere
degli artisti, da sempre, hanno dato forma all’immaginario collettivo, alla pulsione
creativa del singolo e della comunità, ma soprattutto al sentimento più
profondo che, di volta in volta, è diventato un’opera musicale, un dipinto, una
scultura, una cattedrale, un poema, un romanzo.
Proprio in quanto prodotto del sentimento, ogni forma artistica ha una
funzione compensatoria rispetto alla durezza della realtà. Ma nell’epoca
positivista, la realtà ci viene presentata come qualcosa di necessariamente
accattivante, ricca di promesse che sono quasi sempre illusioni. La scienza ci
vende il miraggio di una vita lunga, dell’eterna giovinezza; la tecnologia
pretende di risolvere tutte le problematiche quotidiane, soppiantando l’impegno
e le fatiche dell’individuo. Ci dicono che non abbiamo bisogno di spiritualità,
perché il paradiso può essere qui e ora, se facciamo tanti soldi o se
diventiamo persone di successo. L’uomo comune può dimenticare i suoi affanni
davanti ad una partita di calcio. La pornografia spaccia una versione storpiata
del piacere, una dimensione grottesca dell’essere umano che invece di spingerlo
all’evoluzione personale lo fa discendere nella profondità delle sue
perversioni. La società neoliberista e globalizzata non vuole limiti né confini
all’interno del grande mercato che è il mondo. Tutto può e deve essere venduto,
persino gli esseri umani attraverso l’abominio dell’utero in affitto. Vuole
convincerci che possiamo avere tutto, che ogni genere di pratica sessuale può
essere vissuta senza vergogna e addirittura ostentata; peggio, che il genere
sessuale medesimo non esiste ma è unicamente frutto di una scelta personale,
che basta imparare l’inglese e si può fare a meno della propria terra e cultura,
per seguire quello che non è più semplicemente il sogno americano - il quale, se non altro, conservava ancora quel
briciolo di genuinità dell’esordio - ma l’ambizione di chi vuole annullare ogni
differenza sia nei popoli che nei singoli, per ridurre l’essere umano ad una
batteria in grado di alimentare un sistema famelico, capace di divorare ogni
cosa per poi digerirla in un ammasso informe, di sfruttare le masse ignoranti
per alimentare unicamente gli interessi di pochi oligarchi.
In quest’ottica, la distopia immaginata da molti autori agli inizi del
novecento è già realtà. Tutto è mercificato, il corpo umano e i rapporti umani,
non c’è posto per il sentimento ed i legami autentici, né tempo per un percorso
interiore che porti ad una maggiore consapevolezza. Ora che il Sancta Sanctorum dell’Occidente è stato
profanato, l’arte non è più qualcosa di vivo e vivificante, ma un feticcio da
esibire in qualche museo, un’attrattiva per turisti e curiosi. I pilastri del
Tempio, sui quali reggeva l’intera civiltà, sono crollati. L’arte è morta
perché non vi è più il soffio vitale del sentimento ad animarla. Un modo di
essere del tutto meccanicistico ha prosciugato la vera passione per la vita e
per le sue bellezze, che si tratti di guardare un tramonto, lasciarsi sedurre
da un vento primaverile, commuoversi nell’ascoltare una melodia, lasciarsi
guidare da un sogno ad occhi aperti, avvertire quel senso di mistero e
sacralità quando si entra nell’oscurità permeata d’incenso di una chiesa
antica. L’arrivismo nevrotico si è sostituito alla più vera e legittima fame
dell’anima.
Quando osserviamo le opere di periodi storici come il Medioevo, il
Rinascimento o il Romanticismo, esse ci mostrano lo spirito che ha dato loro la
vita e le ha nutrite fino a raggiungere l’eccellenza: un forte sentimento
religioso, un rinnovato amore per la natura, o la celebrazione delle tempeste
che si agitano nell’animo umano. Ma laddove questo spirito è morto nella
comunità, le stesse opere d’arte divengono null’altro che fossili, residui
storici che testimoniano l’esistenza di un passato che non è più, spente e
mute, o bisbiglianti un linguaggio che siamo incapaci di comprendere.
Senza lo spirito, l’arte perde il suo valore originario.
Se vogliamo che l’arte e cultura dell’Europa tornino al loro antico
splendore, dobbiamo riappropriarci dello spirito vitale che abbiamo perduto, e
questo significa innanzitutto che non dobbiamo permettere che il fuoco dentro
di noi e nella comunità di cui facciamo parte si spenga. Nonostante tutto lo
scempio cui siamo costretti ad assistere, spesso impotenti, la fiamma deve
continuare ad ardere. Anche se la società in cui viviamo predilige gli automi,
i mediocri, e le persone che non sollevano troppi problemi, dobbiamo continuare
ad innamorarci disperatamente di qualcosa, fare le cose con passione o non
farle affatto, dissentire dal pensiero omologato.
Se conserviamo in noi stessi l’ardore, i sentimenti, il desiderio
della bellezza e la giusta spiritualità, l’arte può tornare a rivivere. Il
Tempio distrutto può essere ricostruito, pietra su pietra, e nuovamente
consacrato. Sul suo altare giace il seme di un vero rinnovamento culturale.
MR
La morte dell'arte - la caduta del Tempio diMilena Rao è distribuito con Licenza Creative Commons Attribuzione - Non commerciale - Non opere derivate 4.0 Internazionale.
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