sabato 21 aprile 2018

Concerto Branduardi: un'esperienza di "arte che crea magia"

Ieri sera, 20 Aprile 2018, a distanza di un anno dalla sua ultima data a Torino (esattamente il 28 aprile 2017) al Teatro Colosseo, il maestro Angelo Branduardi ci ha donato un altro coacervo di emozioni tradotto in concerto.
Rispetto alla scorsa tourné stavolta l'atmosfera è stata meno intima ma più dionisiaca, con l'arricchimento musicale offerto da più musicisti e strumenti, la scelta accurata della scaletta che ci ha offerto le innumerevoli suggestioni dei brani più famosi come "Il Dono del Cervo", passando dal ritmo estatico di pezzi quali "Il Sultano di Babilonia e la Prostituta", fino a "Vanità di Vanità", senza tralasciare la bellezza evocativa di componimenti poetici quali "La canzone di Angeus il vagabondo". E non poteva mancare, suonata in una versione moderna che lo stesso Branduardi, durante il concerto, ha definito ironicamente "metallo gotico", il celebre "Ballo in fa diesis".
Sempre capace di un'ironia accattivante, ma anche custode di conoscenze che non tutti i suoi colleghi possono vantare, il Maestro ha iniziato il concerto parlando delle origini e del ruolo della musica, facendo un confronto consapevole tra la figura del musicista e quelle dello sciamano e del mago dell'antichità, di come la musica abbia un aspetto ritmico ed uno esoterico, uno spirituale ed uno ctonio.
In finlandese esiste una parola, taiku, che significa letteralmente "arte che crea magia". E' esattamente il tipo di arte - perfetto connubio di musica e poesia - che ha sempre trattato Angelo Branduardi. Il ritmo da baccanale di canzoni  come "La pulce d'acqua", che si sposa spesso con influenze etniche e folkloristiche come nel caso di "Cogli la prima mela", unito al suono del violino che trascina in un'altra dimensione sospesa tra fiaba e passato remoto, alternato alle note dolci della chitarra nei brani più lenti e suggestivi, che aprono le porte di un altro mondo e, se ti lasci prendere per mano, ti accompagnano magicamente in esso.
Sempre bellissimo, a mio avviso e a dispetto della sua età e dei canoni estetici convenzionali, con i folti capelli che sotto le luci del palcoscenico rilucevano candidi, con il suo violino senza il quale non riuscirei ad immaginarlo, è stato ancora una volta lui, Angelo Branduardi: musicista, maestro, poeta, menestrello, bardo, cantore, sciamano, mago. Un Dioniso il cui spirito si è conservato giovane e fresco, come quello di un satiro che danza e suona nei meandri della foresta o tra l'erba folta della campagna, incoronato da foglie di vite, come non posso fare a meno di immaginarlo quando guardo i live dei suoi anni d'oro.
Qualcuno forse, tra i presenti, potrà comprendere il desiderio che ho provato che quella serata non avesse mai fine, che il tempo cessasse di scorrere per Angelo e gli altri musicisti che erano con lui, e fuori dalle porte del Teatro Colosseo: il desiderio intenso di restare lì, continuare a vederlo e sentirlo suonare e cantare con la sua voce sempre limpida, forse più stanca in alcuni frangenti, ma anche questo fa parte della meraviglia e bellezza di un'esibizione fatta davvero con il cuore, la passione, la spontaneità che sono sempre più rare nei prodotti musicali preconfezionati con i quali cercano di martellarci al giorno d'oggi.
Non è un desiderio che provo di sovente, quello che un concerto non finisca più.
Ma non avevo ancora fatto un passo fuori dalla tenda della platea, che già un senso di forte nostalgia mi ha avvolta. Sono questi i momenti che valgono la vita, che non si dimenticano, che si spera sempre di ritrovare tra un mese, tra un anno, e un giorno, forse, per l'eternità: in quel teatro senza tempo né luogo che è nei miei sogni, dove continuo a vederlo suonare magicamente i suoi strumenti e cantare ad occhi chiusi, rapito dalla sua stessa ispirazione, il mio Angelo della musica.

MR

foto di Milena Rao

foto di Milena Rao

foto di Milena Rao


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