giovedì 21 gennaio 2021

Perché è ancora importante leggere 1984 di Orwell

Premetto che questa non è una recensione al romanzo di George Orwell "1984", pubblicato nel 1949, nè di altre opere di genere distopico come "Brave New World" di Aldous Huxley (1932), malamente tradotto in italiano "Il mondo nuovo" mentre il titolo letteralmente significa "Prode Nuovo Mondo": il medesimo di uno degli album della celebre band heavy metal, gli Iron Maiden, che all'opera di Huxley hanno ispirato l'omonimo brano; o ancora V for Vendetta, fumetto scritto da Alan Moore sul quale è basata l'omonima, famosa pellicola interpretata da Hugo Weaving e Natalie Portman. Se queste opere hanno in comune l'ambientazione in un futuro distopico e dominato da regimi totalitari, l'opera di Orwell e forse ancor di più quella di Huxley fanno di questi autori dei veri e propri "Vati", ossia poeti/profeti, dal momento che parte della realtà descritta nei loro romanzi proto-fantascientifici, ambientati in un futuro immaginario, si è avverata, concretizzandosi nel nostro presente; un'altra parte di quella realtà, invece, sembra profilarsi minacciosamente all'orizzonte della civiltà, andando in tal modo a configurare il nostro futuro.
Futuro, presente, passato: queste opere sembrano creare un invisibile filo che collega e fonde insieme le diverse dimensioni temporali (percepite tali solo dalla nostra limitatezza umana, dato che Cronos, il Tempo, in realtà è uno solo). Tale filo è rappresentato dai contenuti, dagli argomenti, dalle tematiche anche molto sensibili che vengono narrate. E che oggi più che mai mi appaiono straordinariamente, terribilmente attuali.

Se Brave New World ci mostra un mondo in cui ogni emozione, sentimento, individualità sono sacrificati in nome della produzione e di un finto benessere materiale, tratto che sempre più sembra contraddistinguere la società post-moderna iper-tecnologica, ultra-industrializzata e turbo-capitalista, 1984 si spinge ancora più oltre nella sua visione distopica, terrificante, capace di trascinarti in un incubo ad occhi aperti: dipinge infatti un mondo dove il benessere materiale è riservato ad una stretta oligarchia, mentre la maggior parte del mondo vive nel degrado e nello squallore. "The Big Brother" (la cui corretta traduzione sarebbe "Il Fratello Maggiore" anziché "Il Grande Fratello"; inquietante che sia stato dato questo nome ad un orrido reality show che vorrebbe essere un programma d'intrattenimento), che con ogni probabilità non esiste, è a capo di un continente in cui la guerra viene strumentalizzata e la verità costantemente occultata per essere rimpiazzata dalle bugie fabbricate dal Ministero della Verità. Alla gente è imposto di credere, di non porsi alcun dubbio, di essere totalmente devoti all'autorità; pena la morte, la "vaporizzazione", o peggio ancora una sorta di lobotomia psichica attuata attraverso le più truci torture fisiche e psicologiche.
Ma ciò che rende, a mio avviso, la distopia orwelliana sinistramente assimilabile alla nostra realtà, è proprio il fatto che si tratta di una società in cui il dissenso non viene represso, come nei vecchi totalitarismi, a suon di purghe, campi di concentramento ed esecuzioni capitali, né come accade nei totalitarismi odierni, attraverso la carcerazione, la violenza delle forze dell'ordine e la pena di morte; semplicemente, le maggiori autorità fanno in modo, attraverso tutta una serie di canali di controllo, censura, distorsione della realtà, che il dissenso non esista. Che esso non si venga neppure a creare. Ciò si ottiene tramite la paura, ma soprattutto attraverso la manipolazione del passato - alterando completamente i fatti storici - e del presente, ricorrendo al "bipensiero", un qualcosa di insano e contraddittorio che rasenta l'assurdo da una parte, dall'altra più che un bipolarismo psichiatrico appare come un'evoluzione dell'ipocrisia borghese funzionale all'autorità. Il futuro, in tal modo, viene percepito come qualcosa di immutabile, e se opere come V for Vendetta, almeno nel finale, lasciano spazio ad un vittorioso sentimentalismo, ad una sorta di lieto fine in cui la libertà trionfa sulla dittatura, la giustizia sull'ingiustizia, la verità sulla menzogna, in 1984 non si apre alcuno spiraglio di speranza. Attraverso i suoi fautori la dittatura ha divorato famelicamente ogni cosa, perpetra se stessa, appare invincibile. Sembra quasi un invito ad essere cauti, a fare molta attenzione a ciò che accade, a non permettere che si arrivi a quel punto di non ritorno in cui l'umano in quanto tale è perduto irrimediabilmente.

E qui veniamo al punto che ho già citato nel titolo, ossia l'importanza di leggere Orwell ora come allora; oggi, che per onorare il settantunesimo anniversario della sua morte, scrivo il primo articolo del nuovo anno sul mio blog ufficiale. Perché la nostra civiltà è repentinamente degenerata e con la scusa della pandemia, sta inesorabilmente scivolando verso il baratro. La narrazione fallace di quelli che si autodefiniscono "i professionisti dell'informazione" ricorda in modo inquietante l'orwelliano Ministero della Verità, con la sua capacità di stravolgere i fatti, alterando la verità, mescolandola od occultandola con le menzogne, strumentalizzando i contenuti, facendo leva sulla paura, per condizionare psicologicamente e in maniera profonda la collettività. Possiamo renderci conto di questo se andiamo ad osservare - finché ci sarà ancora possibile farlo - i fatti all'origine, se confrontiamo le diverse fonti, se sviluppiamo un sano istinto dinnanzi a qualsivoglia narrazione, invece di trangugiare tutto come se avessimo un imbuto al posto dei sensi e del cervello stesso. L'intuito, la lungimiranza, il lume dell'intelletto e la capacità di sentire: in queste cose sta la vera emancipazione di ogni essere umano, il reale affrancamento dal potere, la possibilità di essere liberi anziché schiavi.
Il mainstream punta ad annichilire il dissenso non solo attraverso un'informazione ripetitiva e fuorviante, che può essere facilmente liquidata dall'esperienza del reale, ma anche attraverso una forma di violenza morale, la quale ricorre ad appellativi totalmente decontestualizzati e spesso completamente fuori luogo rispetto alla persona o all'idea cui fanno riferimento: analfabeta funzionale, fascista, razzista, transofobo, islamofobo o fobico di qualunque altra cosa, negazionista, complottista. Sono solo alcuni esempi di come quello che dovrebbe essere dibattito, sia pure acceso, si è ridotto ad un continuo tentativo di zittire chi dissente attraverso le parole di questa "neolingua" - sempre di orwelliana memoria - spogliata ormai di ogni sana dialettica, di ogni arte oratoria, e intenta a ripetere pappagallescamente idee e patetici epiteti spogli di qualunque argomentazione, oltre che di oggettività e buonsenso. Questa drastica riduzione del potenziale linguistico si inserisce nello stesso contesto della furia iconoclasta di svariati gruppi estremisti che hanno preso piede negli ultimi anni, nonché della violenta negazione di una cultura pluralista. Con una cultura che non è più tale, in quanto cooptata come da sempre negli ambiti accademici e dell'informazione, con un linguaggio impoverito e ripetitivo, ed una sistematica distruzione delle immagini archetipiche che sono i pilastri della nostra civiltà, diventa facile controllare le masse, dopo averle sapientemente asservite attraverso un certo tipo di lavoro e stile di vita alienante e la dipendenza da beni materiali di cui in realtà si ha poco o nessun bisogno.
Il bipensiero è quello che osserviamo ogni giorno quando fenomeni simili vengono interpretati e trattati, a seconda dell'appartenenza politica o ideologica, come fatti che non hanno alcuna attinenza tra loro: due pesi e due misure, ma forse anche di più. E come il "Ministero dell'Amore" in 1984 pratica la tortura ed ogni sorta di abominio, oggi, non di rado, i primi divulgatori e militandi di odio e cattiveria sono i medesimi che fingono di battersi contro l'odio. Quelli che parlano moralisticamente di responsabilità disconocono la più importante forma di responsabilità, ovvero quella individuale; quelli che accusano di razzismo sono razzisti verso il proprio popolo. Così come quelli che strillano al fascismo di fronte ad ogni idea o azione da loro non approvata, vorrebbero abolire i diritti e le libertà di chiunque sia in disaccordo con loro. Ogni offesa, ogni insulto, è utile a sopprimere il dialogo e la realtà dei fatti, nonché a celare quella totale mancanza di argomenti (e, diciamolo pure, di cultura e conoscenza delle cose) che sta purtroppo alla base di molte attuali teorie.

Ma tutto questo non basta a far sì che tutti quanti si prostrino di fronte al "Prode Nuovo Mondo", alla nuova normalità, al moralismo borghese imposto con il ricatto - morale anch'esso. No, perché l'essere umano in quanto tale è una creatura emotiva, fatta di sentimenti, di sensazioni, di passioni. Orwell lo aveva capito bene, e infatti nel suo romanzo il regime totalitario se la prende con l'amore: le persone non devono amare, e non devono amarsi tra loro. Per impedire ciò si interviene con le peggiori sevizie psico-fisiche, finché quell'amore, insieme allo "spirito dell'uomo", non viene del tutto annichilito. A quel punto l'individuo è finalmente in ginocchio, non conta più nulla, non è nessuno. Può devolvere quel sentimento unicamente verso l'autorità, contribuendo a renderla, di fatto, onnipotente e indistruttibile.
L'amore non è una debolezza. "L'amore è forte come la morte", recita il Cantico dei Cantici. L'amore è forza. E' un potere che si contrappone ad ogni altra forma di potere. Ecco perché è così pericoloso. Se ami, sei spinto da energie che è difficile arrestare, vieni meno a quelli che sono i doveri imposti. Tradisci la convenienza, l'opportunismo, l'obbligo sociale e superi persino la paura, se ami davvero qualcuno o qualcosa. Perciò la lotta di qualunque sistema che vuole schiavizzare, asservire gli individui nel profondo, farli inginocchiare di fronte a un falso idolo - non importa se si tratta di un vitello d'oro o di un movimento politico-ideologico esploso strumentalizzando la morte di un criminale pregiudicato - deve essere anche e soprattutto una lotta contro l'amore, e in una prospettiva più ampia, contro le emozioni, i sentimenti, contro tutto ciò che ci rende davvero umani e non androidi telepilotati in un ciclo di produzione e consumismo, inframezzato da una demenza cognitiva tale da perdere ogni capacità di giudizio autonomo e/o spinta al dubbio ed allo spirito critico. Questo tipo di sistema spingerà con ogni mezzo a disposizione verso il transumanesimo. Quindi lo smantellamento di tutto ciò che è tipicamente animale, mammifero, umano: il branco o famiglia, la distinzione tra i generi, il radicamento alla terra e cultura originarie, la connessione simbiotica con l'habitat naturale (trasformato in oggetto da sfruttare fino in fondo senza scrupolo alcuno, o da tutelare solo in vista di un profitto), la connessione profonda con la propria stessa natura.

In tempi così oscuri ci si domanda cosa si può fare per opporre una qualche resistenza. Vi sono molte cose, piccole e grandi, che si possono fare, ma forse la prima e più importante è ricordare che la libertà, la verità, i diritti conquistati, la giustizia, la possibilità di scegliere e di pensare autonomamente, non sono concetti astratti; sono prospettive concrete. E se anche il monopensiero con le sue stupide etichette dovessero giungere a sostituire ogni forma di reale dialogo, la Bellezza, i Sentimenti, l'Amore, non perderanno mai il loro potere. E potremo sempre ricorrere ad essi come ad armi per contrastare l'abbruttimento generale, l'umiliazione della dignità e la piega pericolosa che sta prendendo la nostra società, con l'attuale deriva anti-democratica ed il terrorismo psicologico sempre in atto, il grottesco tentativo di omologazione che è prerogativa di tutti i peggiori regimi totalitari, quelli di ieri, quelli di oggi, quelli narrati da perle della letteratura che non dobbiamo mai smettere di leggere. 

MR


 

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