Estratto di Vagiti dell'Abisso (primo volume de Le Cronache dei Risplendenti), Copyright2021.
Copertina realizzata da Milena Rao |
Erik Algisson aspirò una lunga boccata dalla sua pipa, e rilasciò il fumo in tre ghirlande. - “Gli Dèi non possono tramontare, Freyr. Essi sono l’alba e il tramonto, il giorno e la notte, il fuoco ed il ghiaccio. Vivono tanto nei cieli quanto in terra. Vita e morte sono la loro danza continua. Una danza senza inizio né fine.”
Freyr Bjarkan annuì lentamente. L’espressione grave sul suo viso parve accentuarsi. - “Così è, amico mio. Ma la progenie degli Dèi, il nostro mondo, è vulnerabile.”L’Alto Sacerdote versò dell’altro liquore per sé e per il suo ospite, e tracannò il bicchiere. Il sapore forte dell’alcool, misto al retrogusto dolce delle erbe aromatiche, gli riempì la bocca divenuta secca, mescolandosi al gusto del fumo della pipa. Il liquore gli scaldò il petto, che aveva sentito improvvisamente freddo. - “I profeti hanno iniziato a sognare; sogni oscuri, sogni di morte. Incubi dai quali si risvegliano stremati. Abomini si sono destati nei recessi inesplorati della Terra, e vi è tra noi chi ha udito già da tempo i loro terribili vagiti. Poteri immondi hanno cominciato a strisciare e dimenarsi sul volto della terra, moltiplicandosi e proliferando nel caos che li ha rigurgitati, lontano dalla grazia degli Dèi, dove è possibile per loro crescere e rafforzarsi. Cose antiche, cose cieche e malvagie. Esseri privi di intelligenza, animati solo dal respiro putrefatto dell’Abisso.
Fece una pausa, aspirando lentamente il fumo dalla pipa. - “Alcuni tra i più arditi sacerdoti dei Cinque Regni si sono recati in pellegrinaggio oltre i confini meridionali del Continente, nel Grande Deserto di Daath, per concepire visioni…per sapere di più.”
Il Conte finì di bere dal proprio bicchiere, deglutendo lentamente, e lo posò nuovamente sul tavolo. Il suo sguardo argenteo come il mare durante un temporale, vagava da un punto all’altro dinnanzi a sé, tradendo un inconfessato turbamento. - “E tu, Freyr? Tu cosa sai esattamente di tutto questo?”
- “Ben poco, in verità. Ma forse io stesso temo di sapere ciò che ancora ignoro. Quello che so per certo, è che qualcosa di enorme, di mostruoso, ha divelto le porte abissali ed è giunto nel nostro mondo, in qualche modo…che mi è sconosciuto. Per il momento è ancora lontano. Ma ci raggiungerà. Perché è affamato, perché è bramoso di espandersi e di distruggere. Questo l’ho percepito, e l’hanno percepito anche altri come me.
- “Hai avuto degli incubi anche tu?”
- “Incubi, visioni…sensazioni. Momenti in cui ho avvertito distintamente che questo oscuro pericolo di cui parlavano i profeti era più che mai reale.”
- “Che cosa hai visto o…sentito? Cose che hanno a che fare con quegli antichi libri che parlano della magia oscura, oppure…delle profezie sul Ragnarök?”
L’Alto Sacerdote scosse debolmente la testa. - “Quello che ho visto…”
Esitò. Mentre cercava di afferrare i ricordi e tradurli in parole, l’affiorare di quei tetri pensieri lo fece impallidire. - “Ho visto in sogno una valle sconfinata. C’erano molti uomini lì, uomini vestiti solo di miseria, come non potresti neppure immaginarli. Questi uomini non erano come noi. Apparivano come gusci vuoti in una terra spoglia e avvizzita. Si prostravano e si flagellavano dinnanzi a qualcuno, qualcuno di cui non osavo guardare il volto, ma del quale percepivo distintamente la presenza, terribile come quella di una catastrofe che sta per abbattersi sul mondo.”
Fece una pausa. Quelle parole calarono su di loro come nubi che si accalcano in un cielo plumbeo, annunciando tempesta.
- “Continua, ti prego.” - lo esortò il Conte.
E Freyr Bjarkan obbedì. - “Quegli uomini volevano che mi unissi a loro, che mi inchinassi anch’io dinnanzi al loro signore. Inorridito, fuggivo via; ma ovunque andassi, ogni parte della terra era stata corrotta da quel macabro potere, e non c’era angolo dove potessi trovare rifugio. Alla fine sceglievo di combattere. Sollevavo il mio bastone e mi ergevo contro quell’essere abominevole che voleva rendermi suo schiavo. A quel punto mi svegliavo. Ma anche durante la veglia…ho sentito cose, come bozzoli che si schiudono nei meandri dell’Abisso. Qualcosa di così orribile da non poter essere descritto. Durante la trance ho avuto visioni di cigni morenti, e udito suoni appena percettibili ma raccapriccianti, come di ali brutalmente strappate.”
Freyr si zittì, irrigidendosi. Forse non avrebbe dovuto rivelare quell’ultima cosa.
Erik Algisson rimase in silenzio per qualche momento. Si alzò in piedi, dirigendosi lentamente verso la vetrata del solarium. Il suo sguardo assorto contemplò il paesaggio oltre il vetro che sovrapponeva il suo debole riflesso. Viste dall’alto, si delineavano nella notte la foresta ricoperta da un velo di neve, le stelle che gettavano un’azzurra luminescenza sulle cime imbiancate degli alberi e i contorni delle colline in lontananza.
Erik si passò una mano sul viso. Fece scorrere le dita sui baffi sottili e sul pizzetto della barba, appena sotto le labbra carnose dalla piega morbida e lievemente malinconica. - “Credi che la mia famiglia sia in pericolo?” - domandò infine. Freyr si abbandonò ad un sospiro sommesso. - “Se i profeti dicono il vero, amico mio, siamo tutti in pericolo.”
Estratto di Frammenti di Anima, YouCanPrintEdizioni, Copyright2019.
Lord of the Elvenlake, foto-manipolazione di Milena Rao |
"Il Signore degli Elfi in quel lago incontrai
Egli, tutto il fascino dei Risplendenti aveva
Capelli d'argento, e d'alabastro la pelle
E gli occhi incantevoli gemme."
Estratto della poesia "Il Signore degli Elfi", cap. Gemme del mondo onirico.
Estratto di Storie Antiche come l'Anima, Psiche2 Edizioni, Copyright2018.
"Snowhite with the apple", illustrazione di Milena Rao. |
Introduzione
Da autrice, sono
convinta che i libri debbano nutrire la mente e formare gli individui,
lasciando in ogni lettore o studioso il ricordo di un’esperienza intellettuale
positiva. E’ la ragione per cui ho scelto di scrivere questo libro: volevo
indagare il significato delle fiabe, perché le fiabe, insieme ai miti, all’epica
e all’arte tutta, costituiscono il più prezioso patrimonio della nostra
civiltà.
Spesso si sente
parlare, e non a torto, dell’importanza di leggere le fiabe ai bambini. Questo
infatti favorisce lo sviluppo del pensiero e dell’immaginazione creativa. Al
giorno d’oggi, dove i bambini vengono bombardati sin dalla tenera età con
cellulari ed altri dispositivi elettronici, i quali hanno un effetto devastante
sul loro sviluppo cognitivo, appare più che mai necessario un ritorno ai libri
di fiabe, quelli con la copertina spessa, le pagine ingiallite e le
illustrazioni a colori. Quei libri che si possono toccare e annusare, che le
madri tenevano tra le mani mentre leggevano ad alta voce, narrando storie che
facevano da dolce preludio al sonno dei figli.
In origine,
però, le fiabe non erano state pensate per un pubblico infantile. Si trattava
infatti di racconti popolari che si tramandavano oralmente, proprio come molte
antiche tradizioni, e che venivano narrati attorno al focolare. Tali racconti,
lungi dall’essere privi di senso, serbavano le memorie ancestrali dei popoli, gli
archetipi numinosi appartenenti alle antiche religioni sotto forma di figure
allegoriche. Tali archetipi, come strenuamente sostenuto dall’opera junghiana,
sono innanzitutto dei modelli psichici presenti nell’inconscio individuale e
collettivo. La narrazione delle fiabe, dunque, non si limita alla
rappresentazione simbolica di fenomeni naturali (cosa che è molto comune, ad
esempio, nei miti), ma riproduce un percorso interiore ed iniziatico che in
psicoanalisi viene definito processo di
individuazione. L’individuazione consiste nell’integrazione dell’inconscio
nella coscienza, e nella realizzazione del Sé,
il quale designa la totalità psichica. Secondo Carl Gustav Jung, considerato il
padre della psicologia complessa, tale processo è equiparabile all’opera
alchemica1, ovvero si può identificare con la realizzazione
simbolica di una pietra filosofale.
Marie-Louise Von
Franz, allieva di Jung e psicoanalista, sostiene che le fiabe hanno per la
collettività la stessa funzione compensatrice che i sogni hanno per l’individuo2.
La narrazione fantastica è infatti rappresentativa di quei contenuti inconsci
che si manifestano durante l’attività onirica, e che spesso tentano di
compensare, ovvero riequilibrare, la vita cosciente. I motivi e i personaggi
ricorrenti nelle fiabe, insieme all’atemporalità espressa dai tipici incipit
come “C’era una volta” o “Tanto tempo fa”, e all’indefinibilità del luogo (“in
un regno lontano”, ecc.) stanno proprio a significare che la storia si svolge
ad un livello inconscio, attraverso immagini archetipiche, similmente a ciò che
avviene con i sogni ricorrenti.
Essendo le fiabe
portatrici di significati e messaggi importanti, esse sono state apprezzate
dagli adulti fino all’epoca illuminista, quando purtroppo il razionalismo
imperante le catalogò come futili storie da riservare ad un pubblico infantile.
Il risorgimento culturale dell’800, invece, le rivalutò; più tardi Jung si
occupò di analizzarne il simbolismo ed i significati in relazione alla psiche.
Ma nell’attuale epoca materialista, dove trionfano superficialità di contenuti
e mediocrità espressiva, l’essenza delle fiabe ed il loro ruolo più profondo
all’interno di un percorso spirituale sono passati in secondo piano quando non
del tutto dimenticati. Fatta eccezione per pochi studiosi, tra i quali merita
menzione la psicoterapeuta junghiana Clarissa Pinkola Estés, che si è occupata
di analizzare le fiabe in funzione di una crescita interiore femminile, le
fiabe sono state fraintese nei loro veri significati o in essi volutamente
storpiate. Il più grande errore è, ad esempio, quello di interpretare “alla
lettera” una fiaba. Attualmente si cerca di alterare le fiabe originarie o
proporre dei modelli alternativi di racconti per bambini allo scopo di
conformarsi maggiormente alle esigenze del mercato attuale e delle aspettative
dei contemporanei. Questo atteggiamento è disastroso, poiché pretende di
mutilare dei simboli eterni nella loro sostanza. Ogni fiaba è uno scrigno che
racchiude i tesori della Tradizione di un popolo. Privare gli individui e la
società stessa delle proprie radici vuol dire alienare l’essere umano e ridurre
la sua esistenza a qualcosa di puramente meccanicistico, corrompere l’istinto
naturale dell’uomo di incamminarsi alla ricerca di se stesso.
Ecco perché
voglio proporre, attraverso questo libro, una sorta di esegesi delle fiabe. E’ vero che il termine “esegesi” è usato
prettamente per indicare l’interpretazione dei testi sacri, ma con un attento
esame dei significati psicologici, alchemici ed esoterici delle fiabe, diviene
evidente che ogni fiaba, un po’ come ogni mito all’interno delle tradizioni
iniziatiche, reca in sé un simbolismo numinoso, arcaico, che riguarda tanto la
struttura della psiche quando quella del mondo.
Essendo la
produzione fiabistica enormemente variegata e composta da migliaia di racconti,
non ci è possibile trattarla in modo completo all’interno di un unico testo.
Per ragioni puramente logistiche, sceglierò dunque di prendere in esame
soltanto alcune tra le fiabe più popolari, quelle che reputo maggiormente
significative, ma soprattutto quelle i cui temi compositivi meglio si prestano
ad una interpretazione minuziosa. Partendo dal presupposto che ogni fiaba
riproduce gli elementi culturali del contesto storico e sociale dal quale ha
avuto origine, è plausibile, da parte mia, scegliere di soffermarmi sulle fiabe
europee e russe, che attingono a quelle radici profonde che noi mediterranei
abbiamo in comune con tutti gli altri popoli del continente, pur conservando,
come è giusto che sia, le nostre sostanziali differenze dalle culture celtiche,
mitteleuropee, slave, baltiche e così via. Tale scelta non è dovuta alla
qualità delle fiabe; tutt’altro. Devo anzi sottolineare che le fiabe persiane
sono, ad esempio, molto più complesse, in quanto non erano state pensate come
intrattenimento per bambini. Le fiabe eschimesi somigliano molto a dei sogni
lucidi, mentre le fiabe africane o polinesiane, come tutte le fiabe
sviluppatesi in seno a culture di tradizione sciamanica o stregonica, sono
strettamente connesse a riti, totem e tabù caratteristici di quei popoli.
Proprio nel
rispetto di queste peculiarità, reputo opportuno analizzare la tradizione
fiabistica nella quale ci si può riconoscere maggiormente e la cui
interpretazione risulta comprensibile ed adattabile, nel tempo, alle persone
che appartengono ad una determinata civiltà.
Tra i più celebri
trascrittori di fiabe europee vi sono il francese Charles Perrault, che scrisse
sul finire del ‘600, i fratelli Jacob e Wilhelm Grimm, che nella Germania
dell’800 raccolsero, attingendo direttamente alle fonti del popolo, la maggior
parte dei racconti del focolare giunti sino ai giorni nostri, lo scrittore danese
Hans Christian Andersen che, a differenza dei primi, non si limitò a
trascrivere le fiabe della tradizione popolare, ma elaborò dei racconti
fantastici con la propria impronta stilistica e narrativa, pur riallacciandosi,
in alcuni casi, a figure e temi dei classici fiabeschi popolari, e gli autori
russi Aleksandr Afanasev e Aleksandr Puškin, uno dei maggiori esponenti del
romanticismo russo. Ho potuto notare che la particolarità delle fiabe russe
risiede nell’importanza dei ruoli rivestiti da figure femminili. Ad esempio in Masha e Orso, che è una storia
equivalente alla nostra Cappuccetto Rosso,
è la bambina, con la propria astuzia, a sfuggire al predatore, diversamente da
Cappuccetto Rosso e sua nonna che vengono tratte in salvo da un cacciatore. Le
fiabe russe pongono l’accento sull’impegno e le capacità femminili, sulla
femmina artefice del proprio destino, mentre le protagoniste femminili delle
fiabe occidentali attingono più spesso al potere maschile, anche quando
quest’ultimo, come accade in quasi tutte le fiabe, è un elemento della propria
psiche. Si potrebbe dedurre, dunque, che l’arcaico substrato culturale baltico
e slavo serba la memoria di una fede nel potere femminile (nella religione
ortodossa la stessa Madonna è designata come “conduttrice di eserciti”), mentre
nella più antica cultura celto-germanica riveste grande importanza il principio
maschile, onorato sotto tanti aspetti e volti diversi. Ci ritroviamo così a
confrontare quelle che potrebbero essere interpretazioni diverse di una medesima
antichissima storia.
Leggendo le
fiabe appare subito evidente che esistono diverse versioni di una stessa fiaba,
le quali differiscono in alcuni aspetti legati al narratore ed al luogo in cui
i racconti si sono diffusi, mentre serbano elementi invariati che potremmo
dunque definire centrali, oppure fiabe molto simili tra loro per contenuti e
sviluppo della trama. Questo ci permette di lavorare su temi, dinamiche e
personaggi radicati nel nostro folklore e condivisi trasversalmente, attraverso
il tempo ed i confini geografici, dalla nostra civiltà, che vanno a creare una
vera e propria ritualità delle fiabe.
I racconti
magici racchiudono, nel linguaggio simbolico che è proprio delle fiabe e dei
sogni, indicazioni lungo la strada del viaggio interiore, l’eterna cavalcata
nei territori selvaggi e sconfinati dell’anima.
Note:
1) C.G. Jung, Psicologia e Alchimia, Bollati
Boringhieri.
2) M.L. Von
Franz, L’individuazione nella fiaba, Bollati
Boringhieri.
Estratto di Magici Animali di Potere, Psiche2 Edizioni, Copyright2014.
"Potnia Theron", illustrazione di Milena Rao. |
Introduzione al
simbolismo degli animali
"L'uomo ha grande
discorso, del quale la più parte è vano e falso.
Gli animali l'hanno piccolo, ma utile e vero.
Meglio la piccola certezza che la gran bugia."
Gli animali l'hanno piccolo, ma utile e vero.
Meglio la piccola certezza che la gran bugia."
(Leonardo
Da Vinci)
Sin dall'alba dei tempi, presso tutti i popoli, la
presenza del simbolismo degli animali ha caratterizzato i rituali religiosi, le
pratiche divinatorie, l'insieme delle credenze, dei miti e dell'intero bagaglio
culturale di ogni società, con differenze più o meno rilevanti a seconda della
posizione geografica, della fauna diffusa nell'ambiente in questione, dei culti
praticati e dell'interpretazione e decodificazione della realtà stessa.
L'animale come simbolo religioso, culturale ed
archetipico ha origini arcaiche; è presente in tutte le società più antiche,
inizialmente nelle culture immanentiste e successivamente in quelle
trascendentiste, fino a configurarsi come icona emblematica nell'araldica
medievale, rappresentato nello stemma e negli stendardi delle varie casate.
A seconda del contesto in cui vengono esaminati,
gli animali sono manifestazione di determinate potenze naturali, oppure sono creature
sacre alle divinità, o ancora, rappresentano le divinità stesse nel mondo tangibile e, in alcuni casi, diventano
una loro epifania. In alcuni casi gli animali sono ibridati con caratteristiche
antropomorfe, a rappresentare divinità o creature magiche e mitologiche, come
nel caso della Sfinge. La cultura dell'antico Egitto è contraddistinta,
infatti, da un'iconografia ricca di divinità ed esseri zoomorfi; questa scelta
di rappresentare le divinità con caratteristiche animali è presente anche nella
mitologia induista, seppur in misura minore, e anche nei pantheon prettamente
antropomorfi come quello greco-romano ritroviamo creature semidivine e
metamorfiche in cui gli attributi animali si mescolano a quelli umani.
Se da una parte l'animale è simbolo di un preciso
aspetto del mondo naturale e metafisico, dall'altra è strumento di divinazione,
oppure di guarigione all'interno di un percorso sciamanico. Molte pratiche
magiche non prevedono l'uso dell'animale come offerta sacrificale, bensì il
relazionarsi con lo spirito dell'animale nell'arco della meditazione o del
viaggio astrale: in questo caso l'animale non è solo un totem, ma un archetipo
sacro, ancestrale, che racchiude in sé l'essenza di un preciso aspetto della
realtà multidimensionale. E' proprio in quanto archetipi che i differenti
animali possono essere impiegati in un percorso di guarigione interiore e
conoscenza di sé, ma anche durante la divinazione e la cartomanzia.
Mentre la nostra società, progenie della cultura
antropocentrica e trascendentista, si ostina a guardare agli animali come ad
esseri inferiori, situati alla base di una piramide il cui vertice è occupato
esclusivamente dalla specie umana, l'idea animista di altre e più antiche fedi
vede l'espressione stessa del divino in ogni specie vivente. In tale ottica
immanentista ogni creatura svolge un ruolo importante all'interno di un
meccanismo ciclico - e non lineare, piramidale
- che è quello della vita. Si tratta di una visione che disconosce il Dio
trascendentista dei grandi monoteismi e la rigida gerarchia che scaturisce da
questo concetto, mentre riconosce la manifestazione del divino, del sacro e del
magico all'interno della natura e delle sue intrinseche dinamiche, della danza
armonica degli elementi. In quest'ottica l'animale non è più soltanto un mero
oggetto da sfruttare per i bisogni dell'uomo, senza dignità né intelligenza, ma
una creatura con un'anima e con sue specifiche virtù, o ancora l'incarnazione
di uno spirito, di un daimon o genio
ancestrale, finanche l’occasionale e fugace epifania di una divinità. Tuttora,
in alcune tribù animiste dell'India, probabile ultima sopravvivenza di una
antichissima civiltà, gli animali sono sacri; le antilopi sono considerate
incarnazioni di antenati e dunque trattate con estremo rispetto, al punto che
non è raro vedere donne che allattano al proprio seno cuccioli di antilope. Non
solo: studi parapsicologici hanno svelato il potenziale telepatico di molti
animali e l’estrema sensibilità che li mette in contatto con il mondo astrale e
con altre dimensioni della materia.
Oggi, mentre lo sfruttamento intensivo e spietato
delle risorse ambientali e delle specie animali spinge il nostro ecosistema al
collasso, causando il massacro di milioni di animali ogni giorno, l’estinzione
di altri, la deforestazione, l’inquinamento ambientale ed un progressivo
degrado della qualità dell’alimentazione nei paesi ricchi, con conseguente
denutrizione in quelli in via di sviluppo, migliaia di attivisti in tutto il
mondo, da Sea Shepherd Conservation
Society a Greenpeace, combattono
per la salvaguardia degli animali e del loro habitat e contro le violenze che
essi subiscono per soddisfare le necessità dell’uomo e la sua avidità,
impegnandosi, al contempo, a diffondere un’etica del rispetto e della tutela
del pianeta e di tutte le creature, in contrasto con l’ideologia dominante
dello sfruttamento di queste ultime.
In tale contesto, questo libro si pone un obiettivo
ambizioso: esplorare il mondo degli animali partendo da una prospettiva antropologica,
svelarne i misteri e guardare le meravigliose creature del nostro pianeta da un
punto di vista che quasi mai ci viene mostrato. Non si tratta unicamente di un
viaggio alla scoperta degli animali, del loro potere e del loro significato esoterico,
ma anche di un percorso alla scoperta di noi stessi, delle nostre più
autentiche origini e della realtà che ci appartiene dai tempi arcaici, il quale
si propone di ripercorrere il sentiero della Tradizione, della eredità
trasmessa dalle antiche culture che hanno popolato le nostre terre e delle
quali noi siamo un seppur inconsapevole lascito.
L’obiettivo ultimo è la presa di coscienza di
essere parte di un “tutto cosmico”, di una matrix
universale, di essere creature appartenenti ad un immenso multiverso senziente, all’interno del quale ogni singolo essere non
solo possiede un’intelligenza ed una virtù che sono espressione della legge universale
che regola la vita e l’equilibrio del Tutto, ma si colloca con un suo preciso
ruolo, con proprie caratteristiche che non designano la sua inferiorità o
superiorità, quanto la sua preziosa ed essenziale diversità.
Questa ricerca è altresì una sorta di lente
d’ingrandimento non solo sul mondo animale nella sua accezione culturale, mistica
e magica, ma anche su quello umano in relazione alla natura che ci circonda ed
alla quale apparteniamo. Questo saggio può dunque essere considerato uno
strumento di conoscenza, ma anche di guida alla ricerca della propria identità,
che offre una interpretazione della realtà diversa da quella alla quale siamo
solitamente abituati.
Estratto di Alla luce del crepuscolo, Psiche2 Edizioni, Copyright2009.
Il vampirismo nella Magia, nella Cabala e nel Cristianesimo
“A morte
perpetua, libera.
Libera
me, Domine, de morte aeterna in die illa tremenda
quando
caeli movendi sunt et terra
dum
veneris judicare speculum per ignem.”
Officium defunctorum, Libera me
Esistono svariate connessioni tra il
vampirismo e la magia, ben conosciute dagli operatori dell’occulto appartenenti
alle diverse culture e tradizioni esoteriche. Essi sostengono che attraverso
alcune pratiche magiche è possibile entrare in contatto non con il vampiro vero
e proprio, la cui esistenza non è mai stata dimostrata, bensì con l’archetipo
maggiormente affine al vampirismo, che è alquanto differente dai non morti
descritti nelle varie leggende.
Il culto del vampiro in epoca moderna ci è
stato tramandato principalmente dalla dottrina di Aleister Crowley, occultista
e massone affiliato alla Golden Dawn,
fondatore di una corrente esoterica e filosofica successivamente ripresa da
Anton La Vey e
dalla Chiesa di Satana. Ispirandosi
ad un tipo di magia antica e oscura, Crowley approfondì l’archetipo del vampiro
riconoscendo l’enorme potere del sangue e le sue innumerevoli interazioni con
la materia e lo spirito. Le sue scoperte in campo esoterico, annoverate
principalmente nel Libro della Legge, influenzarono
diversi ordini di occultisti, anche all’interno di confraternite segrete.
Il rituale eseguito dal mago che vuole
avvicinarsi a questo tipo di forze occulte e trarne potere, prevede una
passeggiata notturna all’interno del cimitero, durante la quale il mago medita
e visualizza i cadaveri dentro le bare, la morte, l’energia positiva o negativa
dei fantasmi ancora legati alla terra. Egli cerca di entrare in comunione con
tutto questo, allo scopo di giungere sulla soglia astrale che separa il mondo
dei vivi da quello dei morti. Infine vengono invocate divinità lunari o infere,
come il dio egizio Seth, la dea Kalì e la babilonese Lilith, visualizzando queste ultime come
donne bellissime e al contempo potenti, che incutono insieme timore e rispetto.
Una divinità spesso evocata in queste occasioni è Babalon, il cui nome compare per la prima volta nel Libro della Legge, e secondo la scuola
di Thelema essa rappresenta il principio femminile, dotato della capacità di
divenire oracolo, oppure “porta” attraverso i mondi, in tal caso quello dei
vivi e quello dei morti. Il suo simbolo è la stella a sette punte, chiamata
appunto stella di Babalon.
Il contatto del mago col regno delle ombre
avviene attraverso sogni e visioni, questo tipo di rituale andrebbe comunque
eseguito da esperti, poiché operare con le forze notturne e mortifere è
estremamente pericoloso, e se non si possiede l’adeguata preparazione, è facile
diventare preda di ossessioni e fobie che, a lungo andare, possono condurre
alla follia o addirittura alla morte.
Un fenomeno magico associato al vampirismo è quello degli elementali artificiali. Sappiamo che gli
spiriti elementali sono quelle forze presenti nella natura che ne regolano i
cicli, e comunicano con gli esseri umani quando questi, attraverso la meditazione
e la trance, entrano in comunione con la dimensione divina del creato. Gli
elementali naturali sono dunque energie spirituali che si manifestano
attraverso la materia. Gli spiriti elementali artificiali, invece, sono
proiezioni spirituali della mente umana. Possono essere creati con l’ausilio
delle energie psichiche, sfruttando delle immagini preesistenti, come
statuette, pitture ed altre effigi. Concentrandosi intensamente su un pensiero,
è infatti possibile dargli forma nella realtà fisica, come accade nella
visualizzazione o durante le apparizioni all’interno del cerchio magico.
Solitamente queste “forme psichiche” svaniscono in fretta, ma può anche
succedere che esse rimangano, interagendo in maniera più o meno aggressiva con
la realtà circostante. E’ ciò che avviene, per esempio, negli incantesimi degli
stregoni che praticano il vodoo e la magia nera in generale, i quali danno vita
ad una sorta di vampiri psichici.
I tibetani chiamano questi elementali
artificiali tulpa, e secondo loro
possono essere creati ricorrendo a diverse tecniche, fra le quali i disegni kylkhor, cerchi colorati simili a
talismani magici. Celebre il caso dell’avventuriera e studiosa di buddismo
Alexandra David Neel, che creò un tulpa a forma di monaco tibetano con l’uso della
visualizzazione. Dopo qualche mese, l’entità prese vita, inizialmente
invisibile, poi sempre più definito sino ad assumere fattezze reali. Alexandra
partì per un viaggio e il tulpa la seguì, mostrando un atteggiamento sempre più
aggressivo e incontrollabile, al punto che la studiosa fu costretta a
distruggerlo, riassorbendo poco alla volta l’energia con la quale lo aveva
creato.
Con questo metodo, utilizzando l’energia
mentale e, talvolta, sessuale, gli stregoni possono dar vita a veri e propri
“vampiri”, predatori psichici, che attaccano le inconsapevoli vittime
nutrendosi della loro energia, delle loro paure e, a volte, persino del loro
stesso sangue.
Entità astrali di natura vampirica possono essere
create anche involontariamente, soprattutto da persone affiliate a determinate sette,
che praticano rituali di gruppo e sedute spiritiche. Quando ciò accade, spesso neppure i creatori di questi vampiri
energetici sono consapevoli dei danni fisici e psicologici che tali entità arrecano
ad altre persone, che colpite da questi “demoni”, accusano spesso affaticamento,
debolezza, mancanza di energie, anemia. Alle volte questo genere di vampiri
possono indurre nelle vittime sogni e allucinazioni molto vivide, allo scopo di
indebolire il sistema nervoso e facilitare il controllo mentale sulla persona.
Sia nella mitologia classica che nella
tradizione ebraica il vampiro è un defunto che ritorna dal mondo dei morti,
risorgendo dalla propria tomba. Anche per questa ragione, probabilmente, gli Ebrei entrarono in conflitto con i sacerdoti egiziani, poiché la magia egizia,
la cultura della mummificazione e la necromanzia, erano condannate dalla
religione giudaica. Gli Ebrei credevano inoltre nell’esistenza di tre
differenti corpi nell’essere umano: Nephesh,
l’aspetto istintivo e primordiale, definito dai cabalisti “anima naturale”,
Ruach, la mente, la parte razionale,
e Neshamah, il principio più elevato
dell’essere, corrispondente all’anima. Per gli egizi il fantasma del defunto
che vagava nelle necropoli dopo la sua morte era il Nephesh, il quale poteva
essere posseduto da un qliphoth, un
demone che avrebbe indotto lo spettro a compiere una serie di azioni nefaste, tra
cui il vampirismo. I qliphoth hanno origine mesopotamica e solo successivamente
furono inglobati dalla cultura giudaica.
Il simbolo che viene utilizzato nella cabala
per rappresentare l’universo è l’Albero
della Vita, lo stesso che nella tradizione vichinga viene chiamato Yggrdrasil, l’albero dei nove mondi.
Questo albero fu creato da una misteriosa sorgente chiamata Ain Soph, che potrebbe essere equiparata
alla matrice universale da cui tutto
ha origine, la Grande Madre, o l’OIW celtico, l’ibrido e
unico potere divino che si manifesta attraverso i molteplici aspetti dell’universo.
Ain Soph diede vita a tutti i principi che contribuirono a formare il cosmo
nella sua totalità. Così ebbero origine Kether,
la prima Sephira (parola ebraica
che significa “numerazione”), dalla quale tutte le altre derivarono. Le dieci Sephirot formano insieme l’Albero della
Vita, ad ognuna di esse corrispondono determinate divinità, angeli, demoni e
precise caratteristiche. Kether, la “corona”, corrisponde al pianeta Plutone, e
simboleggia l’origine di tutte le cose. Non può essere conosciuta dall’intelletto
umano, ma solo intuita attraverso l’unione di maschile e femminile. Chokmah, la seconda Sephira, ovvero la
“saggezza”, è connessa al pianeta Nettuno e al principio maschile. Binah, la terza, la “comprensione”, è
associata a Saturno, alla Grande Madre, al calice o coppa che simboleggia
l’utero femminile, l’oscuro caos in cui gli elementi si mescolano per dare
origine a nuova vita. Daath, la
“conoscenza”, è invece associata al
pianeta Urano, e identificata con il deserto e le profondità dell’abisso. Chesed, la “misericordia”, legata a Giove, è connessa alla
metafisica, alla filosofia, allo spazio. Geburah,
la “severità”, il pianeta Marte, rappresenta la distruzione. Tiphareth, è la “bellezza”,
simboleggiata dal sole, dall’armonia, dalla croce e dal sacrificio mistico per
il raggiungimento di uno stato superiore di coscienza. Netzach, la “vittoria”, associata al pianeta Venere, alla rosa,
all’amore, e a tutte le arti. Hod, la
“gloria”, connessa a Mercurio, all’intelletto, alla scrittura ed alla magia. Yesod, il “fondamento”, la luna,
l’energia sessuale, il quinto elemento o Akasha. E infine Malkhuth, il “regno”, l’ultima
Sephira, corrispondente alla Terra, alla materia e al corpo fisico.
Alcune Sephirot sono emblematiche nello studio
del vampirismo, come ad esempio Binah, la Grande Madre. Essa è
simboleggiata dal mare e dal sangue, dai quali ha origine la vita. Il suo
pianeta è Saturno, legato all’omonimo Dio del caos che nella tradizione greca è
Crono, Dio del tempo. Saturno è
associato anche al Dio induista Shiva, e
all’egiziano Seth, entrambi
manifestazioni del principio maschile. Inoltre, Saturno è il governante del
Capricorno, segno particolarmente legato al vampirismo. Nell’astrologia
medievale era il pianeta connesso al diavolo e alla stregoneria, e il colore
che lo contraddistingue è il nero, sin dall’antichità associato alla morte e
all’inconscio, ma anche all’introspezione e alla purificazione. Il concetto di
unione tra opposti, tra principio maschile e principio femminile, che
caratterizza Shiva e Kalì, è lo
stesso che contraddistingue Therion e Babalon nella tradizione di Thelema,
Dumuzi e Inanna nella cultura sumerica e Jahvè e Asherah in quella semita. Kalì,
Babalon e Binah, rappresentano gli aspetti sia protettivi che distruttivi del
sacro femminino, il grembo dal quale tutto ha origine e a cui tutto ritorna
nella morte, l’eterna madre o matrice di vita/morte/rinascita. Il concetto di
divinità femminile distruttrice è identificabile con la Lilith assiro-babilonese,
divinità che, come si è osservato nei capitoli precedenti, è inestricabilmente
legata al vampirismo.
Un’altra Sephira molto importante in questa analisi è Tiphareth, il sole. Secondo le leggende, il vampiro è un essere notturno che alla luce del sole subisce una sorta di combustione spontanea e viene in tal modo distrutto, quindi è costretto a vivere perennemente nelle tenebre. Quando si dice che egli non possiede un’anima, ci si riferisce all’anima luminosa, allo spirito in forma di luce, e di conseguenza il vampiro è un essere incompleto, privato di quella metà divina riconducibile a Tiphareth, l’illuminazione spirituale, il sacrificio, la resurrezione, concetti che si esplicano nella figura del Cristo Redentore e nella sua croce, dinnanzi alla quale, secondo la tradizione, i vampiri provano forte repulsione. La croce è un simbolo precristiano, la sua forma può essere quella di una croce latina, greca, svastica o Tau. Il vampiro la teme come teme la morte, che per lui, privo di anima, equivale alla morte definitiva.
Un’altra Sephira molto importante in questa analisi è Tiphareth, il sole. Secondo le leggende, il vampiro è un essere notturno che alla luce del sole subisce una sorta di combustione spontanea e viene in tal modo distrutto, quindi è costretto a vivere perennemente nelle tenebre. Quando si dice che egli non possiede un’anima, ci si riferisce all’anima luminosa, allo spirito in forma di luce, e di conseguenza il vampiro è un essere incompleto, privato di quella metà divina riconducibile a Tiphareth, l’illuminazione spirituale, il sacrificio, la resurrezione, concetti che si esplicano nella figura del Cristo Redentore e nella sua croce, dinnanzi alla quale, secondo la tradizione, i vampiri provano forte repulsione. La croce è un simbolo precristiano, la sua forma può essere quella di una croce latina, greca, svastica o Tau. Il vampiro la teme come teme la morte, che per lui, privo di anima, equivale alla morte definitiva.
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Estratto de Le creature del Popolo Fatato, Psiche2 Edizioni, 2009.
"Faery Queen Meb", illustrazione di Milena Rao |
Tipologie di Fate e creature fatate
L’epica e la mitologia dei vari popoli che nei secoli hanno abitato il vecchio continente sono ricchi di creature magiche dai diversi aspetti e caratteristiche, e sono intrise di un simbolismo strettamente legato alla natura. È’ interessante notare come popolazioni diverse, in contesti storico-culturali differenti e stanziate in territori relativamente distanti fra loro, condividano figure fantastiche simili. Gli spiriti elementali, per esempio, sono comuni a molte culture. Essi vengono associati ai quattro elementi, terra, acqua, fuoco e aria, e rappresentano il potere della natura. Si ritiene che siano figli di Lilith, e che dimorino fra il regno spirituale e quello materiale.
Fate acquatiche
Spiriti elementali dell’acqua sono le Ondine, secondo le leggende originarie del Mar Egeo, affascinanti creature che popolano i fondali marini, i laghi e i fiumi. Nella tradizione esoterica, presiedono ai riti di magia sessuale e di guarigione, mentre secondo la mitologia del Nord Europa sono esseri infidi e pericolosi, che con il loro canto e la loro bellezza stregano gli uomini, per poi annegarli nelle gelide acque, della cui superficie assumono luci e colori. Nella loro forma maligna e sensuale, sono simili alle Sirene mediterranee, stupende fanciulle che dalla vita in giù possiedono una coda di pesce, e con la loro voce melodiosa ipnotizzano i marinai che, sedotti dal loro canto dolcissimo, si gettano in mare per raggiungerle, ma vengono infine uccisi e sbranati da esse. Nell’Odissea, celeberrimo poema epico di Omero, Ulisse ordina ai suoi uomini di incatenarlo alla nave mentre attraversano l’oceano abitato dalle Sirene, per poter udire il loro canto senza incombere in morte sicura. Sirene e Ondine sono entità femminili marine, quindi collegate all’acqua, l’elemento femminile per eccellenza.
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