mercoledì 5 settembre 2018

Il mito del diverso e la falsa tolleranza

Quando si parla della paura del diverso si sentono inevitabilmente un'infinità di luoghi comuni, sciocchezze e banalità. Essa viene ormai accostata al concetto abusato di xenofobia, che designa invece la paura dello straniero e che nell'antichità era certamente legittima, dal momento che lo straniero era spesso il saccheggiatore, il razziatore o l'invasore, il conquistatore che veniva per imporre i suoi usi e costumi e le sue leggi su quelli del popolo autoctono. La paura del diverso viene anche, erroneamente, associata al razzismo, ovvero alla teoria della superiorità o inferiorità delle varie etnie.
Ma cosa si intende, esattamente, per "diverso"? Chi sono i diversi?
Quando pensiamo alle persecuzioni e stragi messe in atto da un gruppo di persone contro altre, non possiamo evitare di ricordare le leggi razziali dell'apartheid in Sudafrica, le discriminazioni contro i neri negli Stati Uniti, l'olocausto degli Ebrei ad opera dei nazisti. Questi sono gli esempi più vicini a noi occidentali ed in relazione al nostro tempo, ma ampliando il nostro orizzonte ad altri popoli e culture, possiamo facilmente accorgerci che i massacri da parte di un popolo o di un gruppo etnico contro un altro si perpetrano trasversalmente, tanto nelle epoche passate, quanto nel nostro presente, attraversando varie culture ed aree geografiche. Il Tibet schiacciato dall'imperialismo cinese, gli indigeni dell'Amazzonia che scompaiono mentre i ricchi industriali transnazionali determinano la distruzione delle loro terre, la resistenza curda in Turchia. Se includiamo anche i conflitti e le persecuzioni di origine religiosa, la mappa degli spargimenti di sangue e delle repressioni si amplia: cristiani coopti uccisi dai fondamentalisti dell'ISIS, i quali non si risparmiano di devastare monumenti e siti archeologici edificati da tempo immemore in onore degli antichi dèi del Medio Oriente, e se andiamo indietro nella storia, ricorderemo il genocidio dei Catari ad opera della Chiesa, le torture e i roghi voluti dall'Inquisizione contro gli eretici e le donne bollate come streghe. Se consideriamo attentamente le dinamiche di tutti questi crimini, possiamo tuttavia comprendere che alla base non c'è la paura di un diverso, ma che, tutt'al più, tale paura viene fomentata e strumentalizzata per legittimare il crimine; crimine che in vero ha un unico scopo: l'oppressione di una parte della popolazione in favore del dominio, dell'arricchimento e dell'ascesa al potere di un'altra. Nella lotta per il potere, la paura dell'altro, la religione e l'etnia non sono il movente, bensì l'alibi. A questo alibi credono forse i più ingenui, abboccano gli stolti, i malvagi lo rivendicano e in tal modo fanno dell'atto criminale contro l'altro una condizione necessaria. Eppure appare evidente che la ragione di ogni strage, oggi come ieri, qui come altrove, è solo l'instaurazione della supremazia dell'uomo sull'uomo e la difesa della medesima. A tal fine viene di volta in volta fabbricata una struttura ideologica che si fonda sul pregiudizio etnico e religioso ("i neri sono meno intelligenti dei bianchi", "gli Ebrei sono per natura usurai", ecc.), che ha lo scopo di soppiantare la verità dei fatti. E la verità è l'intento di dominio e sfruttamento.
L'uomo è un animale che crea debolezza allo scopo di sfruttare e dominare: così ha privato la donna delle armi, dell'addestramento militare e della cultura, da un certo punto della storia in avanti l'ha estromessa anche dalle cariche religiose; l'ha resa sempre più debole per poterla sottomettere, usare e comandare. L'uomo castra il toro per farne una bestia da soma, castra lo stallone per montarlo più facilmente. Sempre e ovunque, genera debolezza per creare sottomissione e la possibilità di sfruttare al meglio le risorse naturali e umane: così costruisce dighe, scava fossati, devia il corso del fiume. L'uomo bianco ha schiavizzato l'uomo nero per sfruttarne la forza fisica, il nazista ha oppresso l'ebreo per potersi appropriare delle ricchezze che costui si era costruito con l'ingegno ed il lavoro, l'europeo ha massacrato i Nativi delle Americhe per occupare le loro terre.
Tutto ciò, ad ogni modo, non ha nulla a che vedere con la paura del diverso. Semplicemente perché il diverso non è qualcuno che si può sfruttare o comandare. 
Diverso è qualcuno che si distingue da tutti gli altri. E si distingue precisamente all'interno del contesto sociale, culturale e religioso al quale appartiene. Cercherò di spiegarlo in parole semplici: si può essere diversi solo in relazione al proprio contesto storico-sociale e culturale, altrimenti si è solo stranieri. Straniero è chi si trova in un paese, in un habitat socio-culturale che non gli appartiene. Gli stranieri possono apparire diversi nella società che li ospita, ma in quella dalla quale hanno origine possono essere perfettamente omologati.
Diversi non sono nemmeno gli omosessuali; essi al contrario possono essere persone assolutamente ossequiose di tutta una serie di convenzioni: se partecipano al gay pride, vestono Benetton e arredano il loro nido d'amore da Ikea, per il sistema vanno benissimo. Diverso sarebbe un omosessuale come Pasolini, ad esempio, la cui critica era volta a smantellare sistematicamente le ipocrisie del sistema.
Anche gli stranieri, neri o mussulmani, sono ben accetti dal sistema, purché esso si possa in qualche modo servire di loro attraverso lo sfruttamento da parte delle mafie, come mano d'opera a basso costo, oppure come semplici consumatori.
Ma allora chi sono i diversi temuti dal sistema, emarginati dalla società, isolati dal mainstream?

Oggi il mito del diverso è interamente proiettato sulla figura dell'immigrato, del musulmano, dell'omosessuale o dello zingaro. Parlo di mito perché quello del diverso è realmente un archetipo essenziale della società umana: tale società può perseguitare i diversi oppure osannarli, ma in ogni caso, nell'inconscio collettivo è sempre viva la consapevolezza che è solo dai diversi che può venire il meglio della nostra specie. Ne troviamo la certezza quando osserviamo un dipinto di Van Gogh, quando leggiamo una poesia di Baudelaire, quando ascoltiamo una canzone di Michael Jackson. Sappiamo che in qualunque campo, perché l'ecellenza si possa realizzare, occorre un diverso, una creatura che cammina a qualche metro da terra e pensa tra le nuvole, qualcuno realmente posseduto da un genio o daimon in grado di ispirarlo fino ai massimi livelli di qualunque arte o scienza. Come ben sappiamo, nessuna eccellenza è priva di effetti collaterali. Dove il sole è più forte, l'ombra è più scura, e così ogni maestro di meraviglie porta con sé un lato oscuro e a volte distruttivo, una follia, una cupa depressione, l'autolesionismo, una sessualità depravata, l'orrore visionario dal quale scaturiscono altre visioni, la disperazione, la buia notte che partorisce stelle luminose che sono frammenti del mondo interiore del genio. E' il caso di Nietzsche, di Virginia Wolf, di Robin Williams, ma potrei citarne un'infinità. Nei diversi, quasi sempre, quel daimon appartenente al regno delle anime si manifesta con grandi o piccoli effetti collaterali per la persona fisica.
Ma non è solo questo che instilla nella società la paura del diverso. Il diverso terrorizza perché porta scompiglio nella società omologata. Perché è un portatore di eccellenza dinnanzi al quale la mediocrità spicca tristemente o tragicamente. Il diverso o la diversa sussurrano all'orecchio degli uomini e delle donne ben addomesticati parole di ribellione: "non devi per forza vivere così", o "potresti fare tutto in un altro modo", o ancora "sono tutte menzogne e la verità è quest'altra qui". Il vero diverso non può essere mai completamente sottratto alla natura selvaggia e animica cui appartiene. Non può essere incasellato nella piccionaia di un modo d'essere prestabilito, etichettato con gli epiteti di cui la gente sembra tanto aver bisogno, non lo si può segregare otto ore al giorno nel grigiore di un ufficio. Sarà sempre, intimamente, un sovversivo. Un creatore di dissenso, un rivoltoso nello stile di vita.
E sebbene non v'é, né c'è mai stato, un vessillo che sventola in difesa dei suoi diritti, il vero diverso non potrà mai essere cambiato nella sua natura né "cooptato" all'omologazione, per tutta la durata del tempo in cui vivrà in questa dimensione.

Ecco perché, in sintesi, i diversi veramente tali non sono mai tollerati.
Così come il mito del diverso, anche la falsa tolleranza oggi converge interamente sui finti diversi, che sono le categorie sopracitate. Naturalmente io non ho nulla contro queste categorie di per se stesse. Esse sono solo un ricettacolo di proiezione inconscia della comunità. Prendiamo il caso degli stranieri, degli immigrati. Il sistema li adora perché arrecano profitto attraverso la mafia sfruttatrice e il lavoro a basso costo. I buonisti rivolgono loro una costante apologia acritica, in quanto vedono nell'immigrato solo qualcuno a cui mettere il panino in bocca; non lo considerano in quanto individuo, sia esso onesto lavoratore, giovane in cerca di futuro, opportunista o efferato criminale. E' tollerato in quanto sradicato dal suo essere umano e con una precisa identità storio-culturale, tradotto in effige, in bandiera da sventolare laddove si è creato un vuoto di valori spaventoso, sulla sua figura si riversa il desiderio inconscio nei confronti del diverso, quella sottile paura colma di eccitazione, sebbene come già detto, egli non è affatto un diverso se relazionato al suo status di provenienza. Siccome è visto alla stregua di animale bisognoso, nella coscienza collettiva dei suoi difensori viene alleggerito di qualunque responsabilità. Questa finta tolleranza esiste in virtù di una visione che lo considera sostanzialmente inferiore. Perché se domani lo straniero potesse raggiungere posizioni elevate, competere esattamente come un nostro connazionale e generare un contraddittorio, non susciterebbe più alcuna simpatia in quella parte di popolazione che finge ipocritamente di amare gli stranieri: ne è un esempio recente Tony Iwobi, leghista e primo senatore nero della nostra Repubblica.

Mentre il radical chic, dal suo attico metropolitano, pontifica sui diritti di immigrati clandestini, islamici e rom, dimentica un concetto fondamentale: ossia che parità di diritti significa parità di doveri. Nel frattempo, mentre il terrorista che si accanisce sulla gente inerme e vede le autorità del paese che lo ospita rispondere con gessetti colorati e vacue giustificazioni che si rifanno ad una sua presunta emarginazione sociale, mentre lo zingaro che massacra di botte un anziano per derubarlo in casa sua viene difeso dagli antirazzisti che sentenziano, dalle loro ville ben protette nei quartieri "bene" della città, che la legge sulla difesa personale è sbagliata perchè ci porterebbe ad un Far West, e mentre lo stupratore di branco si vede rifilare poco più di un manuale illustrato che spiega che lo stupro in Occidente è un reato, crimini e violenze aumentano esponenzialmente: i carnefici, infatti, interpretano il buonismo e la mancanza di reazioni adeguate degli occidentali come una debolezza, dunque un tacito invito ad arrogarsi diritti che non possiedono.
Ma ora che il mito del diverso è quasi interamente proiettato sugli islamici, sui rom, sui clandestini, o nel migliore dei casi sulla comunità LGBT, il danno è fatto. I paladini dei diritti umani, difendendo a spada tratta queste categorie senza mettere in mezzo nessun giudizio critico e neppure un po' di buonsenso, potranno riscattarsi dalla loro cattiveria, dal bullismo subdolo di cui i borghesi sono veri esperti, dal profondo, radicato razzismo e dalla volontà di discriminazione che essi nutrono nei confronti dei veri diversi: cioè di quella minoranza di persone appartenenti alla loro stessa comunità ma che non la pensa come loro, che si dissocia dalle loro bandiere e rigetta la loro propaganda, che rifiuta i valori della borghesia consumista, la finta libertà che è invece licenziosità, l'assenza di morale nei rapporti umani, ma soprattutto che persegue uno stile di vita differente da quello imposto dalla società dei consumi, del Capitale globalizzato e del neo-liberismo sfrenato. Attraverso la falsa tolleranza dei finti diversi, il borghese liberal-democratico può finalmente nascondere sotto una maschera di ipocrisia la sua vera e totale intolleranza nei confronti di chi diverso lo è davvero.
Ma anche con questa foglia di fico color arcobaleno, la coda di rettile spunta prepotentemente da sotto il travestimento da agnello; la lingua biforcuta e il dente avvelenato si scagliano con ferocia ogni qual volta il falso tollerante si trova a doversi confrontare con un vero diverso. 
Perché i diversi nella nostra società sono quelli che hanno ancora il coraggio di indignarsi di fronte all'ingiustizia, di stare a sentire le ragioni del cuore contro la spietata logica dell'interesse, di vivere l'intensità dei momenti con tutta la passione possibile anziché pianificare e progettare un futuro vantaggioso, che amano quando c'è tutto da perdere, che fanno le cose per amore invece che per convenienza, che se ne infischiano del politicamente corretto, pensano e votano come gli pare, che camminano a testa alta dove altri sanno solo strisciare e adulare, che si preoccupano dei sentimenti anziché dei complotti per raggiungere uno scopo. Sono quelli che non hanno bisogno di maschere, quelli che non guardano all'utilità, ma all'essenza delle cose.
I veri diversi, ieri come oggi, se ne stanno in disparte, spesso criticati, calunniati ed esclusi dai ruoli di prestigio e dal successo. 
E forse è giusto così: perché nella solitudine scopriamo davvero noi stessi e ciò che ha valore quando tutto il superfluo è andato perduto.


MR


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