venerdì 17 ottobre 2025

Crimson Peak: una storia di fantasmi nelle dimore e spettri nella psiche

Oggi, più che mai, definire cosa è arte e cosa non lo è, può essere difficile, per via del caos e delle forze di dissoluzione che dilagano nella società odierna e, inesorabilmente, si riflettono nelle espressioni artistiche o presunte tali. Per me, arte è tutto quello che, nonostante tutto, è ancora in grado di creare mito, poesia, estetica, di narrare dei Numi e degli archetipi, dipingendo in tal modo il nostro complesso, multiforme ed iridescente mondo interiore, che è insieme scintilla e riflesso dell’universo di cui siamo parte.

In quest’ottica, precisamente, si colloca la mia analisi di uno dei capolavori artistici e cinematografici del regista messicano Guillermo del Toro (Guadalajara, 9 ottobre 1964), ovvero Crimson Peak, prodotto nel 2015 negli Stati Uniti. Questa pittoresca pellicola, dai colori intensi, l’atmosfera cupa e l’estetica molto raffinata del genere gothic, cui del resto appartiene, si presta, in verità, a diverse chiavi di lettura ed interpretazioni, alcune delle quali, probabilmente, sfuggirebbero all’autore medesimo. Ma che ne sia consapevole o meno, del Toro è un grande narratore di miti e figure archetipiche, come del resto dimostrano altri suoi eccellenti film, quali Il Labirinto del Fauno (El laberinto del fauno, 2006, paesi di produzione Spagna e Messico) o La forma dell’acqua (The shape of water, 2017, Stati Uniti d’America). Se Il Labirinto del Fauno può apparire la pellicola più interessante da analizzare da un punto di vista esoterico, e così è, trovo tuttavia che Crimson Peak sia il film che più di ogni altro si presti ad essere visto e compreso da tre differenti prospettive; quella artistica, che è sublime, quella esoterica e, non ultima, quella della psicologia del profondo. Di seguito, vediamo insieme perché, e cosa rende questa pellicola così raffinata e preziosa da un punto di vista metafisico ed emozionale.

La storia si apre con un’epifania, il cui termine, ci tengo a ricordarlo, significa “apparizione”. La protagonista, Edith Cushing, interpretata dall’attrice australiana di origini polacche Mia Wasikowska, viene turbata dalla visione del fantasma della defunta madre, che la mette in guardia sul suo futuro. Già dal principio, dunque, questo film si rivela come una molto particolare storia di spettri, spettri che sono apparentemente esteriori, ma che, ad una più attenta analisi, possono anche essere interpretati come spettri interiori, onirici, materializzazioni di contenuti inconsci. Edith cresce, diventa un’aspirante scrittrice, ed incontra Sir Thomas Sharpe, un baronetto inglese, e sua sorella, Lady Lucille, interpretati rispettivamente dai validi attori Tom Hiddleston e Jessica Chastain. La storia è ambientata in un’America nel pieno del proprio vigore produttivo ed economico, che si scontra con un’Europa più romantica, ancora legata alle vecchie tradizioni nobiliari, ma vista come decadente. È il padre di Edith, Carter Cushing, ad incarnare lo spirito di quest’America prode e laboriosa, certo, ma anche cinica ed arrogante, che non nasconde il proprio disprezzo verso i sogni ed il genio creativo rappresentati dal personaggio, seppur ambiguo, di Thomas Sharpe, che cerca finanziatori per il proprio progetto di costruire una macchina in grado di estrarre l’argilla rossa dalle proprie miniere, affinché queste ultime possano nuovamente prosperare. Insieme alla propria creatività, purtroppo, Sir Thomas custodisce dei terribili segreti.

Nella prima scena in cui debutta il suo personaggio, Lucille Sharpe è bellissima e misteriosa, vestita di un abito color cremisi: è un colore che, come suggerisce il titolo stesso (Crimson Peak, letteralmente “picco cremisi”), ricorre spesso nella pellicola. Il rosso dell’argilla liquida che affiora violentemente dalla terra, riempiendo i pozzi sotterranei, macchiando il candore della neve, ricorda molto da vicino il colore e la consistenza del sangue. La terra di Crimson Peak appare viva e sanguinante, proprio come lo saranno i protagonisti nelle scene finali. La grande casa degli Sharpe, un antico maniero, è fredda ed inquietante. Gli spifferi riecheggiano come una specie di “respiro” della casa stessa, la neve s’infiltra dal soffitto ricamando gelide trame sul pavimento dell’ampia sala d’ingresso, le fondamenta si perdono nelle miniere stesse e, anno dopo anno, l’edificio sprofonda nella terra rossa, come una creatura che anneghi nel proprio sangue. Nei sotterranei si trovano dei vasconi colmi d’argilla di un rosso intenso, che appaiono come vasche piene di sangue. Tutto, nei corridoi, nelle stanze, dal vecchio ascensore alle balaustre, sembra gelido, trascurato e pericolante. Gli anfratti del maniero sono popolati dai terribili fantasmi di donne uccise, quali la madre dei fratelli Sharpe e le defunte mogli di Sir Thomas. In questa storia, gli spettri, in quanto esseri legati alle proprie dimore, prendono l’aspetto e la consistenza delle medesime, si tingono della stessa sostanza, e quindi, in questo caso, sembrano fatti anche loro di argilla scarlatta. Se consideriamo che la casa simboleggia la psiche, possiamo dedurre che i protagonisti ed in particolare i proprietari di questa casa, ovvero Thomas e Lucille Sharpe, sono creature imprigionate da un gelo interiore, emotivamente instabili (questo vale soprattutto per Lucille, il cui temperamento si rivela presto irruento e volubile), oppresse da un’infanzia segnata dalla violenza (i sotterranei di una casa possono essere interpretati come ciò che sta alla base della personalità, nel passato o comunque nascosto), tormentate dai ricordi di terribili colpe (gli spettri).   

Il trio composto da Lucille, Thomas ed Edith, la quale diviene presto sua moglie, risulta sin da subito piuttosto inquietante, in particolar modo per il rapporto morboso che lega i due fratelli Sharpe. Lucille è ossessionata dal fratello, con il quale si scoprirà avere un rapporto incestuoso, cominciato quando i due, cresciuti in una famiglia dispotica e violenta, erano solo ragazzini e Lucille, adolescente disturbata ed in seguito matricida, di due anni più grande, inizia ad abusare sia fisicamente che psicologicamente di Thomas; una manipolazione affettiva che durerà per tutta la loro vita, fino al matrimonio di Thomas con Edith.

Edith Cushing, la protagonista effettiva del film, è dipinta in maniera diametralmente opposta a Lucille Sharpe: ingenua, innocente, i suoi abiti sono sempre bianchi o giallo ambra. Quest’ultimo è un colore molto presente nelle pellicole di Guillermo del Toro, contraddistinte, in diverse scene, proprio da questa particolare luminosità ambrata. Entrambe le donne sono sentimentalmente e fatalmente legate a Thomas Sharpe e, da un punto di vista esoterico, si potrebbe affermare che rappresentano due aspetti opposti e complementari del femminile. In questo senso ricordano molto Odille e Odette, rispettivamente il Cigno Nero ed il Cigno Bianco del balletto russo di Tchaikovsky Il lago dei cigni, a sua volta ispirato alla fiaba tedesca di Musäus, Der geraubte Schleier (“Il velo rubato”), che a loro volta si contendono il principe Siegfried. In questo contesto, Odette rappresenta l’aspetto più puro ed elevato dell’amore, mentre Odille, sua oscura controparte, le pulsioni inconsce, più maniacali e distruttive, dalle quali è facile lasciarsi sedurre.1

In Crimson Peak, Edith e Lucille appaiono come due volti molto diversi e conflittuali di quella che, da un punto di vista junghiano, possiamo definire l’Anima2 di Thomas. Jung credeva infatti che l’inconscio dell’uomo fosse accordato in chiave femminile, quello della donna in chiave maschile (Animus). In questo caso, tuttavia, è interessante notare come l’inquietante e pericolosa sorella di Sir Thomas, questa Lady tanto bella, seducente, sempre elegantemente vestita, quanto morbosa e spietata, ricordi molto da vicino il Cigno Nero di Musäus e Tchaikovsky. Nella fiaba, il Cigno Nero è un impostore, una fanciulla fisicamente somigliante alla protagonista, ma resa tale solo dall’incantesimo di un malvagio stregone. Anche Lucille è, nel film, una figura che si sostituisce di volta in volta alle spose di suo fratello Thomas, annientandole, e come il Cigno Nero, rappresenta le pulsioni oscure e distruttive della psiche. Al posto dei cigni bianco e nero, in Crimson Peak l’allegoria della profonda differenza tra Edith e Lucille è pittorescamente rappresentata dalla farfalla e dalla falena. In una delle scene finali, quando la follia e la furia di Lady Lucille Sharpe si scatenano senza più freni, le falene riempiono ogni angolo. Lucille incarna tutti quelli che, nell’uomo, possono essere gli aspetti più turpi dell’Anima: la crudeltà e la spietatezza per raggiungere i propri scopi, la seduzione usata come arma, una sessualità deviata. A tutto questo, tuttavia, si oppone la figura di Edith Cushing: personaggio che inizialmente può apparire acerbo e leggermente ammantato di una certa superbia, si rivela invece ricca di doni, uno dei quali è proprio quello - sciamanico, e non medianico, ci tengo a precisarlo - di vedere gli spiriti e comunicare con loro. Edith custodisce in sé gli aspetti luminosi e numinosi dell’Anima nell’uomo, o meglio ancora, ciò che è capace di ridestarli. Nel momento stesso in cui Thomas si innamora di lei, inizia il suo turbolento percorso di redenzione. L’amore verso ciò che è bello ed innocente, l’amore come sentimento puro, nella sua espressione più elevata, è realmente una sorta di pietra filosofale nel processo alchemico che si compie tra le delicate strutture della psiche. Non è un caso che solo quando Sir Thomas Sharpe comprende di amare la sua sposa, Edith, e si concede carnalmente a lei anziché alle perversioni della sorella Lucille, il suo macchinario per l’estrazione dell’argilla, dopo svariati tentativi ed altrettanti fallimenti, inizia finalmente a funzionare. L’idea del vero amore come lapis di trasformazione ed alchimia interiore, in grado di elevare il potenziale creativo verso la sua più potente manifestazione, ci riporta non solo al concetto junghiano di Eros inteso non come sessualità ma come relazione, ma soprattutto ad Afrodite come divinità urania, non mero demone primordiale del desiderio sessuale, ma nume celeste dell’amore e, come tale, potere trasformativo e rigenerativo della creazione: nel mito, infatti, Afrodite nasce dalla spuma del mare, inseminata dallo sperma di Urano dopo che il dio viene evirato.3 Nel microcosmo psichico, il potere dell’amore agisce nella stessa maniera travolgente e trasmutativa.

Nonostante il suo amore per Edith, Thomas continua a rimanere vittima di Lucille, ovvero, schiavo delle proprie pulsioni inferiori, dalle quali continua ad essere dominato. Si ribella all’oscura e scarlatta Lucille, controparte della candida ed aurea Edith, ma viene sopraffatto; Lucille uccide suo fratello. Così, prosciugato dal suo lato oscuro, Thomas diviene uno spettro: triste, pallido, evanescente; ma in grado di offrire ad Edith un ultimo prezioso aiuto, prima di dissolversi nell’atmosfera fredda e macchiata di rosso dell’inverno di Crimson Peak.

In questo tentativo di esegesi della narrazione, gli spettri stessi assumono molteplici significati. In primo luogo, quello illustrato proprio nel film e raccontato dalla voce sottile e setosa della protagonista. I fantasmi sono reali, legati a sentimenti ed emozioni, a crimini e colpe, ad un luogo ben preciso, come una sorta di Genius Loci, di cui divengono i custodi a volte terrifici. In un’altra accezione, che comunque non esclude la prima, i fantasmi mettono in scena, anche in modo spaventoso, i poteri latenti della psiche: mettono in guardia da pericoli futuri, raccontano qualcosa che è accaduto nel passato, mostrano la via per vedere ciò che si deve conoscere quando giunge il momento. Infine, i fantasmi simboleggiano ciò che diventiamo non soltanto dopo la morte corporale, ma anche dopo quel genere di morte interiore che sopraggiunge quando si cede, giorno dopo giorno, alle forze distruttive dentro e fuori di noi, finché non diventa troppo tardi, e sebbene consapevoli, non si è più abbastanza forti per far sì che non prevalgano nella nostra vita. È forse ciò che, attraverso un’analisi approfondita, vediamo accadere a Sir Thomas Sharpe. Si diventa spettri incatenati al dolore ed al senso di colpa. Ma come ci insegna l’antica saggezza animista, ogni morte è preludio di una rinascita, e, secondo un’altra autrice e psicoanalista junghiana, Clarissa Pinkola Estés, la rigenerazione accade “cantando sulle ossa”4 di ciò che è morto.

Ma questa è davvero un’altra storia.

 

 

Milena Rao

 

 

 

Note

 

1)Un film molto raffinato e psicologico, non privo di elementi horror, in cui viene accuratamente rappresentato il personaggio del Cigno Nero, è Black Swan, del 2010, diretto da Darren Aronofsky, con l’ottima Natalie Portman nel ruolo di protagonista.

2)Carl Gustav Jung, La struttura della psiche, da Aión, 1951.

3)Esiodo, Teogonia.

4)Cantando sulle ossa, Introduzione del saggio di C.P. Estés, Donne che corrono coi lupi.

 

Bibliografia

 

~ Carl Gustav Jung, La dimensione psichica, Bollati Boringhieri, 2015.

~ Marie-Louise Von Franz, Il femminile nella fiaba, Bollati Boringhieri, 1983.

~ Clarissa Pinkola Estés, Donne che corrono coi lupi, Frassinelli, 1993.

~ Milena Rao, Storie Antiche come l’Anima - l’interpretazione psicologica ed esoterica delle fiabe, Psiche2, 2018.

~ Miti Greci, a cura di Giuseppe Zanetto, BUR Rizzoli, 2019.

 

Testo di Milena Rao. Tutti i Diritti Riservati. 
Ogni riproduzione anche parziale deve essere autorizzata dall'Autore.©

 

 

Foto dalla locandina del film Crimson Peak

 

giovedì 12 dicembre 2024

Piccole (grandi) cose come queste e la forza di un cuore puro

Piccole cose come queste (titolo originale Small things like these) è un film uscito da poco nelle nostre sale, diretto da Tim Mielants, prodotto in Irlanda con la collaborazione di Belgio e Stati Uniti e basato sull'omonimo romanzo dell'autrice irlandese Claire Keegan. Irlandesi sono anche alcuni degli attori principali, tra cui il protagonista, il Premio Oscar Cillian Murphy, e l'ambientazione, ovvero l'Irlanda del 1985.
Il tema centrale della narrazione è il medesimo del film Magdalene, ma a differenza di quest'ultimo, in cui la violenza subita dalle ragazze nel convento, per mano delle suore, viene mostrata nuda e cruda così com'è e senza lasciare molto spazio all'immaginazione, Small things like these mostra poco, ma lascia intuire tutto attraverso la regia particolare e raffinata, permeata dal silenzio, dall'oscurità e dal grigiore anche durante il giorno, capace di trasmettere suspence ed un continuo senso di oppressione - la stessa che prova il protagonista, Bill Furlong, un commerciante di carbone - che dipinge a tinte cupe il ritratto di un'Irlanda decisamente diversa da quella raggiante delle coste alte e rocciose, dei siti megalitici, delle tracce celtiche e delle ampie distese di verde. Vi sono brevi scene drammatiche, ma il senso d'inquietudine che racconta davvero quello che succede all'interno del convento viene trasmesso allo spettatore dalle magistrali interpretazioni di Cillian Murphy  e di Emily Watson nel ruolo di Suor Mary. In particolare, è proprio l'interpretazione di Murphy nei panni di Furlong ad essere potente, commovente e capace di coinvolgere in maniera profonda dal punto di vista emotivo. Cillian Murphy è un attore molto versatile, che riesce a trasformarsi anche fisicamente a seconda dei ruoli che interpreta, ma soprattutto, il suo stile recitativo intenso e quasi metafisico, fatto della potenza di sguardi, espressioni, piccoli gesti, lo rende il solo attore della sua generazione a poter essere paragonato, come voce e qualità d'interpretazione, a giganti della recitazione quali Gabriel Byrne, anche lui irlandese, e l'inglese Jeremy Irons.
In questa pellicola, i grandi occhi blu, limpidi e amabili, di Murphy, parlano del suo stato d'animo e dei suoi pensieri senza bisogno di parole, affondano con la loro fanciullesca impudenza nei recessi dell'anima, per trasmettere tutto il tormento di un uomo buono e generoso che si ritrova, in un primo tempo impotente, ad assistere alla cattiveria ed all'ingiustizia perpetrata da donne crudeli su ragazze inermi. Le sue lacrime silenziose, il suo sguardo perso nei ricordi d'infanzia, riescono a trasmettere senza filtri i sentimenti che si agitano dentro un cuore puro alle prese con la malignità di un mondo che dietro la patina di cristiana religiosità, cela ipocrisia, omertà, cinismo, paura delle istituzioni corrotte, bigottismo ed assenza di empatia verso le sofferenze del prossimo. La scena finale, artisticamente bellissima, mostra, dal mio punto di vista, non una vittoria definitiva, ma la forza del cuore ("troppo tenero", secondo la moglie) di un uomo buono che da solo sfida minacce, corruzione ed il giudizio della collettività, la sua compassione, il suo coraggio. 

MR

Cillian Murphy nel ruolo di Bill Furlong, Small things like these, 2024.


domenica 18 febbraio 2024

Oropa: il Sacro e il Selvaggio

Nel Settembre del 2023 ho avuto finalmente modo di visitare il Monte Oropa (Biella, Piemonte) e lo straordinario santuario mariano, ma solo adesso trovo il tempo di scrivere finalmente le mie impressioni ed ordinare le foto scattate in questo sito pregno di magia, misticismo, natura selvaggia.
Situato a circa 1.160 metri di altitudine e circondato dalle suggestive Alpi Biellesi che fanno da sfondo ad un complesso architettonico imponente ed elegante, capace di incantare il visitatore all'ingresso degli archi che fanno da cornice alla Chiesa Nuova ed all'anfiteatro montano contro il quale si staglia la possente cupola, con la guglia che sembra sfiorare il cielo, il Santuario di Oropa è dedicato, esattamente come il Santuario del Tindari a Patti, in Sicilia, al culto della Madonna Nera. Fu fondato da Eusebio, Vescovo di Vercelli, intorno al IV secolo, in un periodo in cui in questa città prevaleva ancora il politeismo di tradizione romana, mentre le Alpi e le valli annesse, così come il Monferrato, che personalmente considero tra i territori più belli del Piemonte e nel quale ho avuto la fortuna di vivere per quasi quattro anni, l'antica religione continuava fermamente ad essere quella delle popolazioni celtiche, compreso il culto dei massi erratici, grandi pietre sacre alcune delle quali è tuttora possibile visionare nella riserva del Monte Oropa, che comprende l'alveo del torrente Oropa, con le sue cascate ed i flutti spumeggianti delle acque cristalline, una bellissima faggeta naturale, diversi sentieri percorribili a piedi o a cavallo, ed altri anfratti e luoghi di interesse sia naturale che storico-culturale che scoprirete se avrete la possibilità di visitare questo luogo che trasuda ancora il mistero e la sacralità connessa alla natura dell'antica tradizione celtica. Pare che l'intenzione di Eusebio e la sua opera fossero tese a contrastare la religione politeista dei Druidi, per imporre il culto cristiano; tuttavia, il culto della Madonna Nera importato ad Oropa è una canonizzazione del più antico culto isiaco già inglobato nell'antica religione dei Romani, come dimostra il Tempio di Iside ad Augusta Taurinorum, sul quale è stata edificata la Gran Madre di Dio: quest'ultima ha in comune con la Chiesa Nuova di Oropa la struttura circolare con le otto colonne; ad otto punte è la stella che si ritrova ripetutamente raffigurata e scolpita negli affreschi, nella pavimentazione e nei bassorilievi del portone del Santuario. La stella ad otto punte è un simbolo antichissimo, associato alla Dea Ishtar, la corrispettiva babilonese dell'egizia Iside, una Madre Celeste. La Madonna col Bambino, le cui effigi e statue votive evocano chiaramente la Madre Iside, Regina dei Cieli, con in grembo il figlio divino Horus, dio della luce solare e dell'illuminazione spirituale, eredita dalla Dea Madre dell'antica religione l'appellativo di Mater Dei e Regina Caeli. Anche la carnagione scura, potrebbe verosimilmente essere un modo in cui veniva immaginata Iside, sia per la sua connessione con la Mater Tenebrarum, ossia la tenebra cosmica dalla quale hanno origine le stelle ed i sistemi solari, il grembo oscuro che fecondato dalla scintilla del fuoco primordiale da origine alla vita, sia per l'aspetto più ctonio di questa divinità, che scende negli Inferi per recuperare il corpo smembrato del suo sposo, il Dio Osiride, e donargli nuova vita.

Ad Oropa troviamo la statua della Madonna Nera con Bambino nella basilica antica, originariamente costruita su un antico sacello, che avrebbe potuto essere un luogo sacro delimitato dai Celti. Nel culto mariano, del resto, è confluito anche l'antico culto della dea celtica Brigit; non a caso la celebrazione della Candelora il 2 Febbraio coincide con la festa celtica di Imbolc, dedicata a Brigit ed al suo fuoco purificatore. Brigit, patrona degli artigiani e di tutte le arti, comprese quelle della guerra e della guarigione, incarnava gli attributi ed i doni che successivamente, in epoca cristiana, sono stati suddivisi in diverse figure di Sante e Madonne.
Esistono molte leggende intorno al simulacro scultoreo della Madonnina Nera di Oropa; consiglio di andarle a leggere in quanto molto interessanti. Altrettanto interessante e degno di nota è il fatto che la statua, nonostante il tempo, non presenti alcun segno di logoramento. Effigi votive della Vergine Nera si trovano anche nella chiesa nuova. Entrambe le chiese rappresentano un patrimonio architettonico, artistico e culturale realmente prezioso, che insieme alla ricchezza della natura che le circonda, danno vita ad un luogo sacro e selvaggio, laddove, in un'ottica panteista, i due termini possono essere usati quasi come sinonimi, una meta spirituale di rara bellezza, in cui ogni cosa, dal rumoreggiare del fiume, ai grandi massi, alle colonne del santuario che altro non sono che un'emulazione umana degli alti alberi del tempio boschivo, trasuda arcane armonie. Non per nulla, proprio nel 2023, il Monte Oropa è entrato a far parte del patrimonio dell'UNESCO. 

A seguire, le foto che ho scattato durante la giornata del 7 Settembre 2023, al Sacro Monte di Oropa.

    



La basilica antica...


Interno della basilica antica...

...Statua della Madonna Nera...


...Una delle diverse stelle ad otto punte raffigurate o scolpite nella basilica.

La chiesa nuova...

Il portone della chiesa nuova con bassorilievi raffiguranti scene bibliche...

Dettaglio dei bassorilievi...

...Sempre sul portone, stelle ad otto punte...

Interno della chiesa nuova.





...Persino al tavolo della trattoria.

Sulla pavimentazione del santuario, una stella ad otto punti con raggi discendenti che ricordano il simbolo celtico dell'Awen. 

L'incantevole piscina naturale formata dall'alveo del Torrente Oropa...


Cappella di Sant'Eusebio

Un dettaglio sulla cappella che ho trovato insolito: la croce uncinata, simbolo proto-europeo...

Testo e immagini di Milena Rao2023, Tutti i Diritti Riservati. E' vietata qualsiasi riproduzione totale o parziale del testo, così come l'utilizzo delle immagini, senza il consenso dell'Autrice.

MR






lunedì 24 aprile 2023

"Il Tempo dei Totem", tra visioni suggestive e riflessioni filosofiche

Oggi voglio parlare del nuovo romanzo di Sebastiano B. Brocchi (filosofo, autore ed artista svizzero), già edito in formato e-book ed a breve disponibile anche in versione cartacea: Il Tempo dei Totem.
Quest'opera è uno dei romanzi spin-off della Saga dei Pirin, che si colloca successivamente a I Cieli d'Opale, e che può essere letto ed apprezzato anche come romanzo autoconclusivo. "Il Tempo dei Totem" è un libro di narrativa fantastica che tuttavia travalica i confini del fantasy e della letteratura di genere. La scrittura florida, il linguaggio poetico e ricercato dell'autore, modellano scenari dalle atmosfere ataviche, nei quali non mancano richiami sia al mondo biblico che a quello pagano, in cui i protagonisti sono in diretto contatto con le divinità, anche attraverso l'utilizzo dell'eloquio teopatico caratteristico dei testi sacri di diverse tradizioni. Leggendo queste pagine, uno degli elementi che colpisce maggiormente è la capacità dell'autore, tipica di ogni vero artista, di descrivere scene fortemente evocative, visioni pittoresche che sembrano quasi materializzarsi dinnanzi agli occhi del lettore con tutta la loro potenza e bellezza. Dalle ambientazioni agli Déi, dai possenti Totem fino ad alcune suggestive trame di grande intensità immaginifica, Brocchi usa la scrittura per dipingere un mondo in costante divenire, mai statico, pullulante di arcane meraviglie. Il suo genio creativo emerge anche nelle raffinate illustrazioni del libro. 
L'altro e non meno importante elemento che contraddistingue l'intera opera, è rappresentato dalla riflessione filosofica, dalle profonde considerazioni sulla natura umana, sulla tecnica con i suoi scopi ed i suoi pericoli, sulla fede che è un tema centrale della narrazione, specialmente nella prima parte del libro, mentre nella seconda troviamo interessanti riflessioni umanistiche, tra cui quella che concerne l'idea del fato e quella della giustizia.
La prosa contiene inoltre qualche piacevole intermezzo di poesia, come nella tradizione della narrativa fantastica inaugurata da William Morris ed ereditata da J.R.R. Tolkien.
Di seguito, riporto un breve estratto del libro che ho apprezzato particolarmente:

"Poiché se noi osserviamo una fonte d’acqua o un antico albero, un cervo o una nuvola, e non riconosciamo in ognuno di essi qualcosa di prezioso, superiore, divino, irraggiungibile in quella sua perfezione così fuori portata per le nostre piccole mani capaci solo di poggiare un sasso sopra un altro; allora non troveremo valore in nulla, ci sentiremo autorizzati a spezzare, usurpare, vilipendere qualunque cosa."
(Sebastiano B. Brocchi, Il Tempo dei Totem.)

Per chi volesse approfondire l'avvincente saga dei Pirin, lascio inoltre questi link:

http://pirinsaga.blogspot.com/ https://www.facebook.com/pirinsaga https://www.instagram.com/_pirinsaga_/

Buona lettura o meglio, buon viaggio a chi vorrà godersi le avventure e le potenti visioni di questo libro.

MR

La copertina de Il Tempo dei Totem, di S.B.Brocchi

Locandina di S.B. Brocchi

Illustrazione di S.B. Brocchi

 
 

mercoledì 8 marzo 2023

Lo splendore di Aida

Ho atteso con ansia l'Aida di Giuseppe Verdi a Teatro Regio di Torino, e finalmente ho potuto vederla nello spettacolo di mercoledì 7 Marzo.
Uno spettacolo meraviglioso, con un'ottima scenografia e gli allestimenti sontuosi del regista Premio Oscar William Friedkin, il quale ha saputo ricreare l'atmosfera ieratica, magico-esotica ed avvolgente dell'Egitto dei faraoni: ammirare e lasciarsi trasportare, grazie alla musica dell'orchestra (Direttore, Michele Gamba), nelle ambientazioni di questa Aida, è come ritrovarsi in un romanzo di Christian Jacq. Con la voce vellutata di Erika Grimaldi, dinnanzi ai miei occhi ha preso vita il personaggio di Aida, leggiadra e potente al contempo, piena di sentimento eppure in continuo conflitto. La mirabile interpretazione del tenore Gaston Rivero nei panni di Radamès, insieme agli altri interpreti ed ai magnifici coristi, hanno saputo regalarci un'Aida appassionata e coinvolgente, un'opera mistica, grazie ai cori suggestivi che durante le preghiere al dio Ptah ti trasportano all'interno di un'arcana messa egizia; un'Aida trionfante ed infine struggente, nella cui rappresentazione il ruolo della principessa Amneris, interpretato dal mezzosoprano Silvia Beltrami, è forse quello più profondamente umano e disperato.
Nell'Aida emergono i toni trionfanti e l'estasi dionisiaca, guerresca e passionale, cari all'opera verdiana e ad alcune opere in particolare, come Il Trovatore; ma qui le marce ed i cori risultano arricchiti dall'atmosfera dell'Egitto faraonico, già di per se stessa carica di suggestioni guerriere e gloriose, di magia e misticismo, ma anche della sensualità di cui è pregno l'antico mondo mediterraneo.
L'aspetto dionisiaco in questo spettacolo viene enfatizzato dai ballerini e dalle danze così perfettamente in sinergia con gli scenari, la musica e lo spirito dell'opera. Gli ideali dell'amore, del valore in battaglia, del patriottismo, sempre permeati da un'autentica religiosità, si snodano attraverso le melodie del canto lirico e della musica di Verdi, nonché della poesia arcana, sentimentale e spirituale, che caratterizza l'intero libretto. 

MR

Foto di Milena Rao, scattata alla locandina dell'Aida davanti al Teatro Regio di Torino.

 
 

lunedì 9 gennaio 2023

Avatar - la Via dell'Acqua

Sono trascorsi già tredici anni dall'uscita del capolavoro di James Cameron (già celebre per i colossi cinematografici Terminator e Titanic) Avatar (2009), e non è possibile, a mio avviso, scrivere del film appena uscito senza tenere presente una linea di continuità con il primo film; infatti con le dovute differenze, i temi centrali e più importanti restano i medesimi: una visione del mondo che si oppone all'antropocentrismo, al colonialismo spietato ed allo sfruttamento aggressivo di esseri umani, risorse naturali e animali, un richiamo non solo al passato nativo-americano, ma anche alle civiltà autoctone che hanno abitato altri continenti, come ad esempio l'Europa durante il Neolitico, prima delle invasioni di matrice indoeuropea, quando, dal Mediterraneo al Baltico, i popoli adoravano la Grande Dea, la Stessa Grande Madre venerata su Pandora, e la loro spiritualità era caratterizzata da un forte sentimento panteista e da una tradizione animista e sciamanica. Panteismo, animismo e sciamanesimo sono le stesse caratteristiche della religione dei Na'vi, gli agili e possenti nativi del pianeta Pandora, insieme ad una visione e ad un modo di vivere che considera tutti gli esseri in profonda connessione gli uni con gli altri, come suggerisce il loro modo unico di legarsi agli animali che cavalcano. Vi è inoltre una profonda connessione con Eywa, la divinità panica di forma arborea dalla quale la vita discende e cui tutti fanno ritorno dopo la morte. Eywa, meravigliosa e suggestiva, è simbolicamente, per dirla con termini junghiani, una sorta di Anima Mundi, onnipresente in ogni creatura, capace di trasformare la vita. 

In Avatar - la Via dell'Acqua si ritrova una versione marina di Eywa, un Albero delle Anime che dimora nel fondale marino, ambientazione che il regista ha saputo rendere magica, affascinante e capace di condurre lo spettatore in quel mondo splendido e pullulante di luminescenze e bagliori fluorescenti, non meno dell'ambientazione nella foresta pluviale, che per prima ci ha incantati con forme, colori e luminosità mai create prima nei paesaggi cinematografici.
La lotta contro il male alieno che viene dal cielo, in questo caso alcuni esseri umani senza scrupoli, continua ad essere la sostanza della trama anche in questo secondo capolavoro di fantascienza e avventura, in  cui oltre ai protagonisti principali, la bellissima coppia Jack Sully - Neytiri (interpretati rispettivamente da Sam Worthington e Zoe Saldana), danzano in un caleidoscopio di sfumature azzurre, ora paradisiaco ed emozionante, ora cruento ed angosciante, molti altri personaggi accattivanti, come ad esempio Ronal, interpretata da Kate Winslet (che torna in un kolossal di Cameron molti anni dopo il successo strepitoso di Titanic, 1997; degna di nota è inoltre la "citazione" di James Cameron a questo film durante la scena della nave che affonda), Lo'ak, il figlio più ribelle di Sully e Naytiri, e Kiri, concepita misteriosamente dall'avatar della Dottoressa Grace, una ragazza con un dono speciale che si rivelerà pienamente verso la fine del film tramite dei poteri magico-sciamanici connessi al suo legame profondo con la forma acquatica di Eywa.
Se il primo film, da un punto di vista sentimentale ed emotivo, offre molto spazio all'amore romantico, alla coppia di "diversi" che si completano armoniosamente, all'affetto tra Jack Sully e Naytiri che supera conflitti e pregiudizi, il secondo film si concentra maggiormente sulla famiglia. La Via dell'Acqua ci racconta una famiglia numerosa, ma dove ognuno pur legato profondamente all'altro rimane se stesso, unico e speciale; una meravigliosa famiglia unita dai valori più importanti, il coraggio di difenderli e lottare per essi, la solidarietà, la complicità, l'amore nonostante gli inevitabili conflitti ed incomprensioni, un amore che neppure la morte può spezzare, quell'amore che connette tutti gli esseri di Pandora alla loro speciale Anima Mundi. E' l'energia frizzante dei giovani, ma anche il legame profondo del capo famiglia con la sua gente e quella che è ormai diventata la sua terra, a rendere così coinvolgente la storia di questa famiglia che, esule dalla foresta, si legherà indissolubilmente al mare. E' la via dell'acqua, la via dell'emozione, dei sentimenti, ma anche del cambiamento. Una narrazione dagli scenari mozzafiato e la magia di una colonna sonora che avevamo in parte assaporato nel primo film.
"Un padre protegge", ripete Jack Sully al principio ed alla fine di questo secondo film, una frase potente quanto "Io ti vedo", ed è proprio nella forza di volontà e volontà di proteggere che vengono espressi i valori più nobili di un protagonista che è insieme sposo, padre e guerriero, come gli antichi eroi delle civiltà dimenticate, le cui memorie rivivono nei protagonisti di Avatar e Avatar - la Via dell'Acqua
Un padre protegge, e una Grande Madre accoglie, come fa Eywa, arborea o marina, quest'Anima Mundi di Pandora dalla quale la vita ha origine ed alla quale la vita deve tornare: ma in essa, cade ogni velo tra vita e morte; ivi si ritrovano gli antenati, ma anche i bambini caduti in battaglia.

Milena Rao
 

  

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locandina del film

martedì 1 novembre 2022

Dracula di Bram Stoker e il terrore che viene dall'Est

 

Il film di Francis Ford Coppola, ispirato al celebre romanzo di Stoker (a sua volta ispirato alla sanguinosa leggenda che aleggia attorno al personaggio di Vlad Tepes, Principe di Valacchia), è suggestivo e pittoresco, romantico e crudele, trasuda sangue ed erotismo, dove uno viene sublimato nell'altro in una catarsi visionaria e struggente.

Ma l'aspetto più interessante sono i due mondi europei a confronto: da una parte c'è quello occidentale, della Londra di fine '800, vistosa, moderna, pullulante di nuove scoperte e della nascente borghesia, nella quale solo le atmosfere aristocratiche ormai in decadenza sembrano conservare pathos ed eleganza. Jonathan Archer, giovane impiegato, figura sbiadita ed insignificante, mimetizzata nel grigiore piccolo-borghese, sembra essere l'eroe di quel mondo ancora prima del cacciatore Van Helsing, emblema, insieme ai suoi accoliti, dell'arroganza occidentale bramosa di distruggere tutto ciò che non comprende e considera pericoloso e contrario alla propria morale.
Dall'altra parte c'è l'Est, la Transilvania di Dracula, oscura e inquietante, ma profondamente mistica. È questo un mondo ancora arcaico, in cui dominano le ombre e gli ululati, le tenebre della notte e i rituali blasfemi, le spose-vampiro e la memoria dei tempi antichi, fatti di gloriose e cruente battaglie. Dracula è il re di questo mondo. Egli si muove fluttuando in esso come un fantasma; è il Signore dei Lupi, totem ancestrali del mondo pagano, il Signore delle Bestie, delle quali assume anche le sembianze, dissolvendosi in una metamorfosi continua, panteista, ove i confini tra vita e morte, umano e sovrumano, divino e animale, sono estremamente labili o quasi inesistenti. Come l'arcaico Signore delle Bestie - Adonis, Orfeo, Dioniso-Zagreo - egli ha potere sugli animali e sulla natura, governa gli istinti e le tempeste, può sedurre e soggiogare la psiche nel profondo, padroneggia la magia, finanche tramuta le lacrime in cristallo. Come gli Dèi che ho citato, ha un aspetto bellissimo e grande fascino, ma il mondo occidentale, ostaggio del credo cristiano e del razionalismo, lo vede nel suo aspetto terrifico, poiché dai suoi poteri e da ciò che rappresenta è terrificato. Come Orfeo e altre divinità della natura selvaggia, il destino di Dracula è quello di essere ucciso e decapitato, smembrato nel corpo dunque, ma reso immortale nella sua essenza. Temuto e amato al tempo stesso, come principe della "wilderness" egli è anche il custode della psiche inconscia, che l'ego razionale non può dominare. E come l'inconscio, il mondo da cui proviene Dracula è un mondo fatto di simboli, di potenti visioni archetipiche, dove l'Imago del dio selvaggio che egli incarna suscita ancora meraviglia e orrore, dove gli idoli della nuova religione non hanno alcun potere, mentre la magia scorre ineffabile, l'amore attraversa gli oceani del tempo in quanto eterno, forte più della morte, avviluppato da una passione che arde immortale come il vampiro.
Così Dracula, che fu un eroe per quel mondo antico e perduto, contraddistinto dalla truce purezza della violenza, oscuro eppure così pregno di sentimento, nel mondo moderno occidentale diviene un demonio, il mostro odiato e cacciato dai novelli paladini del bene.

Oggi più che mai la storia di Dracula sembra la metafora dello scontro ineluttabile tra due mondi incompatibili tra loro: Est e Ovest ma soprattutto antico e moderno, pagano/panteista e cristiano/antropocentrico, inconscio e razionale, spirituale e pragmatico. E la principessa Elisabetta - perché c'è sempre una principessa - che incarna il potere femminile, appare la sola forza in grado di riportare a casa l'antico principe, accoglierlo tra le sue braccia, amarlo e onorarlo per ciò che è, restituendo a quel vecchio mondo il suo splendore.
 
 
MR
 
 
Una locandina del Dracula di Bram Stoker, di Francis Ford Coppola

Una scena del Dracula di Bram Stoker

Un affascinante Gary Oldman nei panni del Principe Vlad Dracula